Da giorni sono impegnato in una riflessione. Alcune notizie di stampa l’hanno sollecitata. Per provare a dare sostanza al mio pensiero ho dovuto recuperare lettura fatte più di 25 anni fa e che hanno lasciato in me un segno profondo in un tempo in cui credevamo di essere ad una nuova svolta della storia di questo paese (faccio riferimento ai giorni de “La Pantera“).

Provo adesso a dare ordine a queste idee nella speranza di riuscire a sintetizzarle all’interno di un pensiero unico.

Prendiamo prima di tutti la Piramide di Maslow. La sua definizione in forma gerarchica dei bisogni umani ha al tempo stesso il difetto e il pregio di essere molto semplificata (ed è anche per certi versi abbondantemente superata da altre teorie magari più complesse ma certamente più complete), ma per quello che voglio dire andrà bene.

Piramide_maslow

Incrociamo le categorie definite da Maslow con un paio di considerazioni.

Viviamo all’interno di una società capitalistica, a questo punto globale, che è stata capace di pensare l’impensabile e di trasformarlo in realtà (e a questo punto scomodo per la prima volta Agnes Heller la cui teoria dei bisogni mi sembra estremamente più evoluta e convincente di quella di Maslow): è stata capace di quantificare l’inquantificabile. In altre parole è stata capace di dare un prezzo a tutto, ma proprio a tutto. 

E questa è la prima.

Allo stesso tempo non è stata capace di risolvere una delle questioni fondamentali che riguardano l’umanità su questo pianeta, anzi è stata in qualche modo l’artefice dell’estremizzazione del problema: sulla terra all’incirca metà dell’umanità è impegnata a risolvere problemi che hanno a che fare con le prime due categorie dei bisogni di Maslow restando spesso al di sotto della prima (e in questa maniera scomparendo rapidamente dalla scena e dalla storia).

Mentre un’altra metà è impegnata nella definizione inconsapevole e soddisfacimento consapevole di una nuova gamma di bisogni che Maslow non era nemmeno riuscito ad immaginarsi e che quindi siamo costretti a posizionare “fuori scala”.

In realtà in questo senso un’intuizione Malsow l’aveva avuta affermando che uno dei bisogni che trovavano una difficile collocazione nella sua Piramide era il “Bisogno di tempo”. 

A tal proposito la Heller sosteneva che “la vera ricchezza dell’uomo e della società si costituisce non nel tempo di lavoro, ma nel tempo libero” (e questo inevitabilmente riporta la mia mente ad un post pubblicato su questo blog qualche settimana fa).

Non è però di questo tempo che voglio parlare. Se è infatti vero che da sempre l’uomo persegue un incremento orizzontale del proprio tempo (un’espansione del proprio tempo quotidiano che prediliga la categoria “tempo libero” rispetto a quella del “tempo di lavoro”) è sempre più vero che l’uomo moderno, che in qualche modo ritiene di avere soddisfatto tutti i bisogni della Piramide (ma anche solo su questo varrebbe la pena aprire una lunga e approfondita discussione che ha a che fare soprattutto sull’antitesi “essere/avere”), individua un nuovo/vecchio bisogno che tende ad ampliare il tempo in maniera verticale e che mi sento di definire il “Tempo di vita“.

Non si tratta proprio di un bisogno nuovo (come ho voluto sottolineare scrivendo “nuovo/vecchio). Da sempre infatti l’uomo ha fra i suoi obiettivi più importanti e basilari quello di riuscire a vivere il più a lungo possibile. E questo da sempre viene interpretato in due modi. Il primo passa attraverso la riproduzione: perpetuo me stesso attraverso la mia discendenza. Il secondo modo invece riguarda direttamente la possibilità che l’uomo ha di allungare realmente il proprio tempo di vita.

Come dicevo prima, molti su questo pianeta interpretano ancora questa questione nei termini dati dai primi due gradini della Piramide di Maslow: riuscirò ad aumentare la mia aspettativa di vita nella misura in cui sarò capace di procurarmi cibo e acqua, un riparo sicuro, riuscirò ad accedere ad un minimo di cure sanitarie, farò in modo di non farmi uccidere da qualcun altro che si trova in una condizione di bisogno ancora peggiore della mia e che quindi valuta le poche risorse a mia disposizione come desiderabili ed indispensabili alla sua sopravvivenza. I numeri che tanto mi piacciono raramente informano in maniera veramente sintetica e veramente corretta circa la realtà delle cose. Sapere però che ancora oggi l’aspettativa di vita media per l’uomo in Tanzania è di 42 anni qualche cosa in proposito la aggiunge.

E gli altri? Quelli con l’aspettativa di vita che già oggi supera del doppio quella delle persone che vivono in Tanzania?

Quelli siamo noi (naturalmente con le dovute distinzioni e le “riduzioni” prodotte dalle nuove contingenze). Il nostro bisogno di “tempo di vita” fuori scala tiene conto di altre due novità che né il buon Maslow né Agnes Hellere al tempo del suo “La teoria dei bisogni in Marx” potevano minimamente prefigurare: l’avvento di strumenti di comunicazione che socializzano in tempo reale il bisogno (la domanda) e l’oggetto del suo soddisfacimento (l’offerta) e le nuove biotecnologie applicate soprattutto in campo medico.

L’incrocio fra tutti gli elementi sovra esposti fornisce nuove risposte al bisogno di “tempo di vita” declinato nelle due forme della “riproduzione” e dell’allungamento vero e proprio di questo tempo.

Allora a fronte di difficoltà riproduttive alle quali un tempo si davano risposte che avevano a che fare con l’adozione e poco altro, oggi siamo in presenza di nuove tecnologie che consentono di offrire un ventaglio di possibilità molto ampio a partire da quella dell’inseminazione artificiale. E fino a qui il problema, nel dualismo posto in premessa fra chi vive (o per meglio dire muore) al di sotto del primo gradino della Piramide e chi invece viaggia ad un livello ancora non definito che sicuramente si trova al di la del gradino più alto, si pone nei seguenti termini: i primi non si possono permettere questo nuovo approccio tecnologico e i secondi si.

Il problema serio nasce però quando una tecnologia del genere offre una nuova e ulteriore possibilità a tutt’oggi giornalisticamente conosciuta come “utero in affitto”. E’ qui che secondo me l’inquantificabile diventa quantificabile. E’ a questo punto che il divario fra coloro che stanno all’apice della piramide e coloro che tentano di sopravvivere al di sotto del primo gradino si sostanzia in una nuova frontiera del capitalismo globale, in un nuovo mercato che pur esistendo da sempre (la schiavitù, la prostituzione, il turismo sessuale,ecc.) assume una nuova forma ed è pronto ad offrire una nuova merce.

E per quanto riguarda il prolungamento della nostra vita? Proprio da questo è stata stimolata questa mia riflessione. Risale a pochi giorni fa la notizia che un’importante ONG internazionale ha pronto un rapporto che dimostrerebbe in maniera inconfutabile l’esistenza di un mercato di organi che ha come serbatoio tutti coloro che, nel tentativo di dare risposta quotidianamente ai propri bisogni primari, entra in quella zona grigia che in questo momento è rappresenta soprattutto dal fenomeno delle migrazioni.

Da parte mia non riesco a ripetere neanche una sola parola e un solo fatto fra quelli che è possibile leggere sulle anteprime del rapporto in questione.

Posso solo porre un’ulteriore domanda: questa informazione ci sorprende?

Personalmente la mia risposta è no.

In un mondo in cui la relazione fra uomini è sempre più impostata sul soddisfacimento dei propri bisogni personali e dei propri interessi fino a considerare “l’uso dell’altro” come una pratica possibile, in un mondo in cui a tutto è stato dato un valore economico e a possedere la risorsa economica è solo una parte dell’umanità a svantaggio di un’altra parte che non la possiede per nulla, in un mondo in cui la spersonalizzazione dell’altro è arrivata fino al punto di permetterci di assegnare un valore diverso alla vita di un bambino occidentale rispetto ad un bambino appartenente all’altra parte del mondo, quella dell’utilizzo de “l’altro” come “negozio di pezzi di ricambio” per i nostri corpi e per quelli dei nostri cari non è una notizie che mi sorprende.

Altre semmai sono le cose che mi sorprendono.

Mi sorprende l’ipocrisia di un mondo (e li ci metto dentro volentieri tutte le categorie della politica, della giustizia internazionale, dell’informazione, ecc.) che improvvisamente sembra accorgersi di un fenomeno che per forza di cose deve già esistere da molto tempo e che semmai adesso ha trovato nuovi canali e un nuovo vivaio che lo rende solo più aggressivo, più capillare e soprattutto (e mi tremano le mani solo a scriverlo) più redditizio; perché in questa storia, come in tutte quelle che hanno a che fare con il mercato in ambito capitalistico, non siamo solo alla presenza di chi avanza la “domanda” e di chi risponde con la “offerta” ma anche, e tragicamente direi, di chi si occupa dell’intermediazione.

Mi sorprende l’incapacità di un’umanità che in un tutto il tempo che ha avuto a disposizione per evolversi su questo pianeta non è stata ancora capace di comprendere (o forse si ma semplicemente se ne fotte) che fino a quando esisterà una grossa fetta di esseri umani che cercano di sopravvivere questi saranno in primo luogo degradati a livello di “merci” e quindi esposti ad abusi la cui responsabilità ricade su tutti noi, mettendo in discussione i valori stessi di base che danno significato al nostro “essere umani”.

Infine voglio chiudere questo post con una riflessione quasi naif e una sollecitazione romantica (ché davvero non mi resta altro).

Non potendo sperare in un cambiamento radicale della nostra società e della nostra maniera di vivere, propongo un elemento correttivo che potrebbe in qualche modo mitigare i problemi sopra esposti. Ma se inserissimo in qualche modo all’interno del nostro sistema di relazioni (da declinare poi in termini sociali, giuridici e chi più ne ha più ne metta) un principio secondo il quale non è possibile attivare relazioni riguardanti il soddisfacimento di certi bisogni a fronte di una contropartita economica fra persone che fanno riferimento a categorie dei bisogni troppo distanti fra di loro (e questo inevitabilmente attiva in me anche una riflessione sul senso della cooperazione internazionale che spero di sviluppare nelle prossime ore) ?

E per finire la sollecitazione “romantica” che traggo ancora dal saggio di Agnes Heller (che è pure una che ha vissuto in prima persona i campi di sterminio nazisti).

La Heller dice: “nello sviluppo estraniato, cioè nella “condizione” di estraniazione della ricchezza, ogni fine diviene mezzo e ogni mezzo fine. Questo rovesciamento tra mezzo e fine si esprime in ogni momento dell’essenza umana. Come abbiamo già accennato, in condizioni normali, cioè “umane”, il massimo fine dell’uomo è l’altro uomo, L’estraniazione cambia in mezzo anche questo fine massimo, l’uomo diviene per l’altro uomo un semplice mezzo, un mezzo per la soddisfazione dei suoi fini privati, della sua avidità“.

E poi ancora: “Se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto con il mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia, ecc. Se vuoi godere dell’arte, devi essere un uomo artisticamente ducato; se vuoi esercitare qualche influsso sugli altri uomini, devi essere un uomo che agisce sugli altri uomini stimolandoli e sollecitandoli realmente. Ognuno dei tuoi rapporti con l’uomo e con la natura deve essere una manifestazione determinata e corrispondente all’oggetto della tua volontà, della tua vita individuale nella sua realtà“. 

 

11 pensieri su “Quantificare l’inquantificabile

  1. è il tuo un intervento molto interessante (come gli altri tuoi, d’altronde)
    Non ti sto facendo un inutile complimento, ma sto riflettendo mentre ti leggo e per questo ti dico che mi è interessante, oltre al fatto che mi ritrovi su tanti punti e li sottolineo in me per non fermare la riflessione, tantomeno la voglia di non restare inattiva (a raggio stretto o più ampio, che poi non fa troppa differenza, purché si viva non passivamente come se un dio poco religioso, ma tanto autoritario, al di fuori di noi, delle nostre possibilità, avesse ormai definito il tutto in un modo e come cambiare? Uno dei pretesti che ci diamo per il nostro stesso operare o il nostro tacitamente accettare che le cose procedano in un certo modo). E niente… rifletto e rifletto anche sull’importanza di scritture come la tua e delle loro connessioni con gli andamenti della vita e delle cose
    un caro saluto
    d.

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  2. Leggo studi o riflessioni importanti sull’esisistenza dell’umanità, e mi auguro che riescano a smuovere i cervelli statici. Se guardo il mondo degli umani vedo troppo spesso condizioni di vita peggiori anche per chi non è disagiato. Ogni giorno vengono creati bisogni e necessità che servono soltanto a creare consumismo smodato, così chi è sotto la soglia di sopravvivenza crepa di fame e gli altri crepano per l’ansia di non riuscire ad ottenere il superfluo.

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