E di cosa dovrei avere paura?
Del mio Pianeta impazzito
di cui io sono la malattia?
Quando giungerà la radiazione,
lo tsunami, l’ultimo terremoto,
mi troveranno con le braccia aperte
come adesso nei giorni di pioggia,
come oggi che soffia maestrale.
E di cosa dovrei avere paura
a questo punto della mia vita?
Dello spauracchio della morte
che qualcuno con insistenza agita
davanti al mio volto?
Non fosse che
cento volte sono già morto
e cento resuscitato
e sempre c’era qualcuno
a spingere via la pietra dal sepolcro,
sempre qualcuno a dire:
“dategli da mangiare,
non era morto, dormiva,
e adesso ha fame”.
Di cosa dovrei avere paura?
Se tanto ho vissuto,
se tanto ho amato,
se tanta acqua
ho versato a dissetare,
tanto cibo ho preparato a sfamare.
Volete che domani
non ci sia qualcuno
con un piatto pronto per me,
un bicchiere pieno,
un letto pulito
e rifatto con cura?
Di cosa dovrei avere paura?
Nel giorno che inizia,
nella sera che si inoltra e giunge
al termine di una giornata
con una promessa di baci
e parole attente
dette a voce bassa.
Nella notte in cui ancora mi è dato
di carezzarvi i capelli,
di guardarvi nel sonno immersi,
di dirvi piano, dopo un sussulto:
“non è niente, ci sono qua io,
ritorna a dormire”.