Non so quanti, fra quelli che leggeranno questo post, hanno consumato almeno una volta nella propria vita l’esperienza della ritinteggiatura di casa o anche di un solo ambiente.
È questione complessa che richiede una certa manualità ed un’adeguata preparazione psico fisica.
All’inizio è un’opera di eliminazione. Bisogna togliere infatti tutto ciò che il tempo ha inevitabilmente alterato e corrotto, base sulla quale mai e poi mai aderirebbe anche la più tenace delle vernici. E già questa è opera difficile e duramente neo platonica perché quando si inizia a togliere si sa quando si comincia ma non si sa dove si va a finire. La spatola e la spugna abrasiva tendono a prenderti la mano e a condurti nei territori inesplorati delle sovrapposizioni storiche dell’intonaco (soprattutto se come me vivete in una casa antica).
Finito ciò si potrebbe pensare che è venuto il momento di cominciare a ritinteggiare non fosse per le scabrosità, i vuoti, gli avvallamenti che il lavoro di eliminazione ha prodotto.
È qui che arriva la fase dello stucco e della spatola, che è anche quella che mi induce oggi a scrivere. L’obiettivo è essenzialmente quello di riportare la parete tutta allo stesso livello evitando quell’effetto “carta geografica” o peggio “plastico tridimensionale” che hanno le pareti mal stuccate.
Lo stucco da parte sua è sostanza strana. Sorprende infatti come materia così magmatica e dinamica possa essere stata ricondotta a staticità e dignità quasi marmorea da quel genio siciliano che era Giacomo Serpotta.
Nella prima fase di riempimento ci si accontenta. Dentro di noi lo sappiamo che la prima mano di stucco per natura sua non può che essere imperfetta ed approssimativa. Ma intanto il nostro cuore si prepara, a nostra insaputa, a quella della rifinitura.
E qui è necessario introdurre l’altro protagonista della storia: la spatola.
La spatola che, usata in fase di eliminazione, è una compagna fedele e spietata in questa fase (cosa che per il resto accade anche agli uomini) si dimostra oggetto infido e capriccioso.
Ogni volta che ti convinci che il colpo che stai dando possa essere l’ultimo ti sembra invece che la spatola abbia prodotto un rilievo oppure un vuoto o comunque un’asperità che ti fa pensare che sia necessario ancora un passaggio di spatola e stucco. Senza che tu te ne renda conto essi ti stanno conducendo in un paradosso dell’anima all’interno del quale rischi di restare prigioniero di un’eterna incompiuta nella quale il prossimo colpo peggiora la situazione rispetto al precedente, il prossimo ancora la migliora ma non abbastanza, il prossimo ancora migliora ancora un po’ ma si potrebbe fare meglio, il prossimo ancora riporta tutto nuovamente alla condizione primordiale.
E mentre rileggo questo strano post chiedendomi come è che certe volte mi determini a scrivere cose del genere mi rendo conto di due cose.
La prima è che c’è tanta vita vissuta non solo nel giardinaggio ma anche nel bricolage.
La seconda è che forse avrei potuto ampliare un po’ il titolo di questo post titolando: “La regola dello stucco ovverosia di come l’ottimo sia nemico del buono”.