Quanto è difficile spiegare alle persone cosa sia la Cooperazione di Comunità. E oggi sembra ancora più difficile di ieri perché siamo vecchi noi oppure perché è invecchiato il mondo. Gli oltre vent’anni di ricerca, riflessione, a volte anche dolorosa, di Tulime in Italia, in Tanzania, in Uganda, in Nepal, oggi sembra essere diventato percorso ancora più accidentato di quanto non fosse già allora. Come dire che non è una questione basata sull’essere più o meno “sviluppati”, sull’essere più o meno portatori di “bisogni”, di “povertà”, di “valori” ma che la questione sta invece sul come mettere queste povertà, questi bisogni, questi valori, assieme ad idee, visioni, esperienze, culture al servizio di un progetto comune che deve vederci protagonisti (tutti assieme) di un cambiamento, su un pianeta sempre più piccolo.
E allora mi sarebbe tanto piaciuto che qualcuno di coloro ai quali non riesco a spiegare a parole cosa vuol dire per me Cooperazione di Comunità fosse stato stamattina lì dove ho lasciato Cesare, il mio Piccolo. Ha cominciato la prima media lunedì. L’accordo era: nei primi giorni ti accompagneremo a piedi, dopo avere lasciato l’automobile ad una certa distanza dalla scuola, ma fra qualche giorno ti lasceremo in quel punto e sarai tu ad andare da solo.
Oggi è il terzo giorno e gli ho chiesto se se la sentiva di anticipare un poco il primo esperimento e andare da solo nel tratto che lo separa dalla macchina alla scuola. Figurati quello. Non ho detto lui dei “pericoli” che avrebbe potuto incontrare in quel tratto, non lo ho messo in guardia dalle persone che avrebbe potuto incontrare sul cammino, non lo ho invitato a guardarsi alle spalle ad ogni passo. Gli ho detto solo: “quando arrivi manda un messaggio (con il suo nuovissimo primo cellulare) per dirmi che sei arrivato”. Ho aspettato che scendesse dall’auto, che si allontanasse qualche passo, poi ho fermato due ragazze che passavano in evidente assetto scolastico. Ho chiesto loro se andavano verso scuola del Piccolo, mi hanno detto di si. Allora ho chiesto se, mantenendosi a distanza e senza che lui se ne accorgesse, potessero dare un’occhiata a quella sardella spavalda e sandaluta che caracollava verso la scuola. Con un sorriso mi hanno detto di non preoccuparmi che ci avrebbero pensato loro. Ho osservato la scena fino a quando una curva della strada non mi ha più permesso di vedere il trio. Pochi secondi dopo mi arrivava la chiamata eccitata dell’esploratore solitario che aveva raggiunto sano e salvo (e soprattutto “da solo”) il campo base.
Se qualcuno vuole capire cosa sia questa Cooperazione di Comunità della quale parliamo da tanti anni, ecco, questo mi sembra un buon esempio di Cooperazione di Comunità.