Ci sono perdite per le quali è indispensabile elaborare il lutto. Non necessariamente perdite di persone. Si può perdere anche un luogo. Si può perdere una storia.

Ci sono tante cose che vorrei chiedere in dono alla divinità. Tendo a non farlo  per discrezione (con tutto quello che ha da fare). Una però mi sta veramente a cuore e mi sa che uno di questi giorni mi deciderò.

Vorrei essere avvertito, magari con un paio di giorni di anticipo, la prossima volta che sto per fare una cosa per l’ultima volta (e io naturalmente non lo so).

Questa cosa sta diventando per me un vero assillo. Credo che abbia a che fare con l’età. Credo anche che produrrà “racconto” (e forse questo è il primo della serie) che serve in un colpo solo ad alleviare la pena e a rivivere le cose.

E siccome mi sembra pure di avere elaborato il lutto (ma magari mi accorgerò scrivendo che non è così…per esempio la mia amica Marilena non lo ha ancora elaborato: durante l’escursione di ieri non ha avuto il coraggio di portarsi il ciondolo di legno che le ricordava la storia che sto per raccontarvi) forse è venuto il momento di fare una passeggiata con le parole in “un’ultima volta” che non c’è mai stata perché a me non è stato dato di capire che era l’ultima e perché si compone di “tante altre volte”.

A questo punto una premessa (perché il resto cosa era?!?). Questa passeggiata virtuale riguarda un sogno durato 10 anni. Il sogno di fare un centro di educazione ambientale in Sicilia che fosse “veramente nostro” (dove per nostro non si intende un posto da possedere ma piuttosto una idea da trasmettere, una buona novella da condividere), un sogno, come quasi tutti quelli che nascono in questa terra, destinato ad infrangersi. Un sogno però che in quei 10 anni ha prodotto tanto. Ha donato gioia a coloro che questo sogno hanno creato, custodito e vissuto, ha donato gioia a tantissimi bambini (noi ne abbiamo contati circa 30.000 e i numeri certe volte sono importanti). E’ stato il sogno di un’Associazione (tanto per cambiare) e questa Associazione si chiama Consorzio Giona Nexus.

E adesso partiamo. Voglio cominciare dalla strada, giù, a San Nicola, dove arrivano i pullman e dove comincia il sentiero che porta al Centro (che abbiamo chiamato Pacha Mama). All’imbocco di quel sentiero ho visto per la prima volta Veronica. Coperta da un gigantesco piumino di un bianco immacolato. Mi chiesi da quale pianeta venisse questa ragazza dai capelli così belli e dagli occhi infuocati. Da li cominciava un sentiero che ancora continua.

Comincio a salire. Come sempre c’è un po’ di fango anche adesso che è giugno (così mi piace immaginare). Il sentiero si fa più ripido adesso che passa fra le prime querce. Lo chiamiamo così, il sentiero delle querce. E le querce hanno le foglie nuove. Io che so, intuisco già la casa fra di esse. E poi la casa appare anche per coloro che non sanno. Ed è bella, è solida, è giusto che sia li. Non ti sembra che contraddica in nessun modo il bosco che la circonda. Sono una cosa sola. Raccontano una storia unica, e le persone se ne accorgono.

Non entro in casa. Forse non sono ancora pronto per sentire quegli odori. Forse non sono pronto per vedere i letti dove coccolavo il mio ragazzo grande, allora piccolo e dalla faccia tonda. Non sono pronto per rivedere le stanze che il piccolo non conoscerà mai: ma è proprio vero che in fondo chi non sa cosa si perde alla fine è come se non si perdesse nulla?

Solo il tempo di fermarsi qualche secondo al lavatoio, immergere i piedi nell’acqua gelata (dimenticavo di dire che farò tutta la passeggiata a piedi scalzi), dare un’occhiata all’orto, vedere se fra gli alberi c’è già qualche nocciola da raccogliere.

Lasciate che proceda. Non voglio fermarmi ai Pagghiari. Tanto belli quanto ingestibili, per nulla “nostri”. Vado al prato del melo antico e il mio melo è ancora li (non è vero: è morto che noi ancora gestivamo il centro ma con il racconto si può fare tutto anche resuscitare le “persone” a noi care). E’ probabilmente l’abitante più vecchio del centro. E attorno a lui che cominciano sempre le mie Passeggiate con la Terra. Quante ne ha sentite? Quante ne ho condotte?

Una piccola deviazione a destra e sono nella zona degli “Ispettori del Collegamento”. Non ci sono bambini oggi. Sono qui per le fragole. Chi può capire, credere alla meraviglia di un siciliano quando scopre che nel luogo che tanto ama crescono le fragole selvatiche. Non in Trentino, non fra i boschi sulle Dolomiti, ma qui sulle Madonie, al centro della calda Sicilia. Dirlo agli altri? Condividere un segreto così esoterico? Tanto poi si condivide tutto. Il sapore non è nemmeno sapore: è senso concentrato.

Adesso giù fino alla grande quercia (che una volta rischiò di bruciare) per distendermi un poco con la testa poggiata al suo tronco, a cercare fra i suoi rami le linee della mia mano, strane convergenza evolutiva fra uomo ed albero, strane affinità di due essere che partecipano di uno stesso universo.

E quante cose ancora avrei da fare.

Stendermi con Vera sul sentiero, un po’ prima. E lasciare che lei mi “grocky” (niente di osceno…non preoccupatevi!) e mentre lo fa tenere con una mano lo stelo di una ferula e sentire come se all’altra estremità ci fosse attaccato una aquilone.

Andare fino all’Aula Verde e fra i cipressi sentire l’odore della resina e l’eco della voce del Professore che mi incanta e che traduco agli altri e a me stesso nel tentativo di trasformarla in un canto che non abbia fine.

Un mondo. Tutto un mondo e io ancora qui, con dentro l’emozione del sogno e la stessa disperata rassegnazione di chi sa che è destinato a finire.

Il giorno sta volgendo al termine e io non sono bravo come Giosuè. Non sono mai stato capace di fermare il sole in cielo e se ne fossi stato capace non l’avrei fatto di certo per vincere una battaglia ma per continuare a discutere con un amico, a giocare con i miei figli, a sentire le “balene d’aria” che passano sulla volta del bosco.

Tre cose ancora devo fare.

Andrò lentamente fino al mio “Qui e Adesso”. Ho amato tanto quel posto da incidere anche una tabella con il suo nome e lasciarla li. Vi sgorga una sorgete, esigua. Mi siederò brevemente berrò un poco di quell’acqua e stringerò, senza parlare, la mano di Veronica.

Ci alzeremo assieme e sempre lentamente andremo verso il pianoro poco più in alto per sederci davanti alla “finestra sul tramonto”. Il sole calerà in fretta, come fa sempre. Ti prego, mia cara, lascia che io poggi la mia testa sulla tua spalla.

Sarà tempo di tornare a Pacha Mama. Già fra le querce si scorgono le luci della casa. Giunge l’odore buono del cibo preparato dagli amici, le urla dei bambini che sono venuti da noi per vivere un pezzo della loro estate incantata. Ci siederemo tutti assieme attorno alla tavola imbandita sotto il cipresso. Ringrazieremo brevemente per il cibo, gli amici, i maestri ed il mondo selvaggio. Gli sguardi saranno allegri, le parole tante, alcune stupide altre destinate ad incidersi per sempre nel cuore e nella mente.

Dal pantano soffierà l’aria gelata come se fossero le montagne stesse (e così credemmo per un po’) ad esalarla dai loro profondissimi polmoni.

In cielo si accenderanno le stelle.

Dentro di me lo sapevo che non ero ancora pronto.

Cnetro Pacha mama 2

16 pensieri su “L’ultima volta

  1. Non riesco davvero a dire niente. Troppe cose, troppo confuse, spesso troppo belle per essere esternate. E un grande vuoto. Forse solo una cosa: felice di averlo vissuto nella pienezza con te fino al momento in cui c’è stato.

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  2. Comunque essere consapevoli dell’ultima volta è importante proprio per il racconto e perché ci dà consolazione. Io sono felice per esempio di ricordare l’ultima volta che ho allattato Cesare. Ero nel porticato davanti casa dei nostri amici a Sagana. E sono felice di poter raccontarglielo un giorno in cui lui sarà grande e magari ci troveremo in quel posto.

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  3. Grazie per aver condiviso con noi il vostro sogno, i vostri ricordi più belli. Per qualche minuto ci è sembrato di essere ospiti anche noi di questo posto meraviglioso.

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  4. Concordo con Veronica.
    Chi coltiva sogni possiede la ricetta della felicità.
    Oggi nessuno , secondo me, investe nei sogni: son tutit rasegnati non lo vedi?
    O si accucciano su se stessi…
    Vi sgorga una sorgete ( aggiungi la “n”)

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