Da più di 50 anni frequento dei luoghi. Alcuni assiduamente altri solo di rado. Alcuni cambiano negli anni anche se io sono capace di riconoscerli sempre, altri restano identici.

Non li frequento di giorno, li visito di notte, mentre dormo, nell’altra vita, quella del sogno.

Alcuni di questi luoghi rappresentato il senso del sogno stesso. Il sogno c’è perché è in quel luogo che deve svolgersi l’azione, perché è in quel luogo e solo in quello che il sogno può esistere.

Altri invece sono luoghi accidentali, luoghi comprimari, posti che non definiscono il senso ma tuttalpiù compongono la trama.

C’è per esempio il quartiere anonimo di Parigi. Un quartiere qualunque e io devo raggiungere un luogo ad est della città (sempre ad est) e il bus mi lascia sempre in quel quartiere dove c’è un piccolo ristorante che cambia sempre nome eppure è sempre lo stesso. E io sono un poco sperduto e un po’ ritrovato, un po’ ansioso e un po’ sereno.

C’è poi il quartiere bello della mia città, un quartiere antico che scopro all’improvviso, senza che mi fossi mai accorto prima della sua esistenza. Si trova generalmente in fondo ad una discesa, ma per raggiungerlo devi salire sopra una collina e li ci sono incredibili chiese antiche, e il cielo è sempre azzurro, istoriato fra vertiginose torri in pietra. E io sono colmo di stupore per una tale meraviglia che scopro solo in quel momento.

C’è l’aeroporto in fondo al molo. Un po’ porto e un po’ aeroporto. E io sempre in ritardo per un volo per Londra o per l’Africa che rischio sempre di perdere. E una ripida scala mobile che mi porta direttamente all’unico check in nel quale ragazze nervose e preoccupate mi dicono che ancora un minuto e avrei perso l’aereo.

C’è l’antiquario labirintico. Lui si luogo accessorio che incontro di tanto in tanto nei miei sogni. Che a volte visito e altre no, ché tanto oramai lo conosco. E quando arrivo davanti al suo ingresso, fatto da innumerevoli cancellate portate via da chissà quali antichi palazzi, è quasi sempre sera e all’interno è tutta una teoria di minuscole stanzette collegate da infiniti corridoi e ogni stanza rappresenta un tema, un ambiente ricostruito, una collezione di qualche genere.

C’è l’ospedale dell’incubo, l’ospedale della fine della speranza. Non è uno degli ospedali africani che tante volte ho visitato o del quale ho fruito nella realtà. E’ un ospedale occidentale, eppure è un luogo dove la speranza non c’è più. Molte stanze sono buie e all’interno si intravedono sagome di persone delle quali non potresti dire se sono vive o morte. Si incontra raramente un infermiere che si eclissa subito senza fornirti alcuna informazione, alcuna spiegazione. L’ospedale si compone di due corridoi paralleli, sui quali si aprono due ali di stanze e io mi muovo in una specie di cerchio rettangolare dal quale non riesco a trovare un’uscita.

C’è la grotta sommersa. Quella la conosco bene. Quante volte l’ho visitata in questi anni. Un lungo pozzo da affrontare con la corda e poi giù nell’acqua in un profondo sifone. So che a questo punto dovrò immergermi a lungo per uscire nella prossima camera emersa. So che ogni volta l’aria dei miei polmoni mi basterà appena ma ogni volta lo faccio con sicurezza, senza timore, quasi con gioia perché dentro di me so che nella realtà le grotte non mi hanno tradito mai.

Ma il mio luogo preferito, all’interno di questo catalogo che sento sfogliarsi dentro di me mentre lo scrivo a mostrare pagine che avevo dimenticato, è il mio giardino perduto. E’ un “luogo non protagonista” ma quando arriva si impone e mette in secondo piano tutto il resto. Improvvisamente in un sogno qualsiasi, che per lo più ha a che fare con la mia casa, trovo una porta di cui avevo dimenticato l’esistenza, magari protetta da una tenda, magari nascosta dietro un mobile, e questa mi immette nel giardino perduto. Entro nel giardino con un senso di stupore e nostalgia cocente. Questo è il mio giardino, quello che tanto a lungo ho coltivato, come posso essermene dimenticato? Ci sono un po’ d’erbacce, si vede chiaramente che gli alberi avrebbero bisogno di una bella potatura, eppure il giardino tutto sommato sta bene, ce l’ha fatta anche senza di me. Frutti, pochi, ma maturi e deliziosi pendono da alcuni alberi. Qui e la spuntano dei fiori che non ricordo nemmeno di avere piantato. Fra l’erba si intravede qualche ortaggio. Il giardino c’è anche senza di me, io l’ho dimenticato eppure lui ha continuato a produrre doni dei quali io non ero più consapevole.

Scrivo mentre il mio cuore e la mia mente sono ancora sospesi fra i due mondi, accanto a me il Piccolo dorme perso in qualcuno dei suoi luoghi che forse un giorno raccoglierà in un catalogo. I luoghi della vita vera mi aspettano, anch’essi accessori a volte, protagonisti altre, fondamentali alcuni, dimenticati molti.

12 pensieri su “Il catalogo dei luoghi dei sogni

  1. Che bello! Ti voglio dire mi ha stupito molto che io stessa sperimenti situazioni molto simili, così che posso parlare delle mie “città di notte”, città solo oniriche a volte, a volte simile a quelle che conosco, ma dilatate in modo che io non trovi mai la strada giusta del ritorno. Siccome sono donna, ci sono i miei mercati, dove compro merci meravigliose e poco costose che la mattina dopo, con mia grande delusione, sono scomparse. Le chiese con altari di santi morti e messe solenni e colpe latenti, davvero molto inquietanti… Ci sono le case con lunghi corridoi dove dormo coi miei cari che non ci sono più. Ma il legame che mi ha colpito di più fra i nostri sogni è costituito da due luoghi: il magnifico giardino dilatato abbandonato che parte da un casa simile alla mia, ma si espande a dismisura. Anche il mio, come il tuo, è trascurato, ma ricco di fiori che spuntano disordinati. Ha anche una collinetta, uno stagno o torrente con i pesci rossi, tanti, e, qualche volta, un viale delle ortensie. E poi c’è quel terribile ospedale, con tante scale, corridoi, persone vive e morte, luci incerte, dolore e io che cerco di uscire, ma non riesco.

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      1. Grazie Francesco, pure le tue parole mi hanno commosso, ma anche stupito per la grande somiglianza delle nostre esperienze oniriche.Ho composto due o tre poesie su questi miei viaggi notturni, potrei riunirle in un poemetto, ma mancano ancora i versi i sugli ospedali, che non ho mai avuto la forza di scrivere… 🙂

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          1. No, credo che non si trovino sul blog, io, poi sono tremenda, ho scritto tanta di quella roba che non mi ricordo nemmeno più :-). Dovrò fare ordine, le cerco e poi qualcosa pubblico 🙂 Grazie ancora

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