Incontro

Impareremo,

forse troppo tardi,

che non si può vivere

la primavera di striscio,

a parole,

per interposta persona.

Ché quando suona

del suo vento il corno

è lì che bisogna essere.

E quando nel nuovo giorno

compone le tessere

di un alba impareggiabile

bisogna essere lì

e non altrove.

Ché quando la gemma schiude,

secondo per secondo,

e lì che bisogna stare

in ogni momento

e non persi in un altro universo.

Ciò significa

che questa poesia,

ogni suo singolo verso

privo di suoni e di odori,

è solo inutile commento

a ciò che non è ancora stato

perché non è lì che siete.

Prima che venga sera dunque,

che tutto il tempo vada via,

da essa staccate gli occhi

ed uscite fuori

ad incontrare primavera.

Poi tornate a casa

e scrivete la vostra poesia.

Il ritorno

Pago caro

il mio essere capace

di leggere i segni.

Per questo fra i due regni

sono rimasto

per tre giorni

e sessanta anni.

Tanta pazienza

ha ricevuto in premio

un mattina come questa

in cui lesta

ti ho vista scattare

quando un inverno,

breve e distratto,

le sue braccia di nuvole

ha divaricato.

Di quell’anima stretta

tu hai varcato il confine

ed infine il cielo

hai conquistato.

Di nuvole e petali

Voglio vivere questo inverno
come uno che aspetta la primavera.
Della sfera del sole
cogliere ogni indugio
sul filo dell’orizzonte.
Del monte ogni singola variazione
nella giornata uggiosa
così come nei mattini cobalto.
Quello che per altri
è il salto fra le stagioni
sarà per me una sequenza perfetta
di nuvole e petali,
un ponte sottile come uno stelo
sospeso sul tempo solstiziale.

L’orto è un quaderno nuovo

L’orto è un quaderno nuovo

L’orto appena zappato
è bello come un quaderno nuovo
e come quello,
prima di tutto,
ci metti sopra il tuo nome.
Non per proprietà,
ché tanto lo sai
che nessuno dei due ti appartiene,
ma perché, fra le righe e i solchi,
ci pianterai le tue idee
in questa primavera incerta.
Tutto sarà ordinato e perfetto
solo nei primi giorni
poi arriveranno le cancellature,
le pagine strappate
e le erbacce a soffocare i pomodori.
Lo rivedrai alla fine della stagione,
la copertina sgualcita dal vento
e le zucche ad invadere i filari,
e saprai che li c’è tutto quello
che resta di un’estate.
Lo conserverai con cura
nello scaffale dove conservi
i ricordi migliori.

Sodali

Sodali

Raccolto, in ascolto,
inchiodato nel legno
di una croce e di un segno
che mi tolgon la voce.
Mentre un tempo veloce
di miracoli e d’ali
mi si schiude davanti,
a me sono sodali,
a me sono compagni,
solo i tanti che ho perso.

Degli stagni del cuore
scampo al gioco perverso,
il lamento ed il pianto
lascio scorrere accanto,
e del canto del mondo
mi delizio e circondo,
degli strali luce,
della gemma sul ramo.
E mi sono sodali
tutti quelli che amo.

Il prezzo di questa primavera

Il prezzo di questa primavera

L’ho pagata in anticipo,
un impegno di vita,
giorni lunghi slabbrati
e fatica infinita.

L’ho pagata nelle ore
che preludono al giorno,
in quelle albe dolenti
che si chiudono attorno.

(Sette volte tornato
a vedere le stelle,
sette volte partito
come metà l’inferno).

E quel prezzo impagabile
di molecole e pianto,
nel disprezzo del tempo,
nel silenzio del Santo,

l’ho pagato in eterno,
dal mattino alla sera:
mi è costata un inverno
questa mia primavera.

Albero mio, figlio mio

Albero mio, figlio mio

Il mio albicocco smania per fiorire. Stamani gli ho fatto visita e ognuna delle sue gemme è già pronta. Non sa delle gelate di marzo che certamente arriveranno. Non sa che dovrebbe aspettare ancora un poco prima di andare incontro alla sua primavera. Per lui scrive la poesia che segue.

Albero mio, figlio mio

E’ presto, aspetta,

non avere fretta per favore

ché stretta ancora è la porta

che conduce alla stagione nuova.

L’odore che giunge dai monti

racconti narra di fango

e sorgenti torbide.

Ride la cornacchia

e oltre il fosso

zampetta ancora il pettirosso.

E’ presto, aspetta

che ogni segmento

che collima stelle

si congiunga in una retta

per il vento tiepido

strada nuova fra le crune dei monti.

E’ presto, aspetta

ancora pochi istanti

ché le tue gemme diamanti

non debbano temere

il gelo certo

di un marzo spietato.

E’ presto, aspetta,

come io ti ho aspettato,

ché al tuo tronco giovane

possa aggrapparmi

un giorno in più,

un giorno prima

dell’inevitabile oblio:

albero mio, figlio mio.

Lasciagli credere che sia stato il vento

Lasciagli credere che sia stato il vento

Il Piccolo mi fa impazzire. Per tante ragioni in realtà ma ce ne è una che le supera tutte. C’è una parte del giardino nella quale lui e suo fratello amano giocare. Questa zona è separata tramite una ringhiera da quel grande “territorio di nessuno” che da sempre chiamiamo “bosco dei cento acri”. La ringhiera è il confine che viene continuamente attraversato da oggetti destinati a scomparire in questo enorme buco nero. Palloni e palloncini “arroccati” più o meno per ragioni naturali, giocattoli vari che per motivi inspiegabili finiscono dall’altra parte, innumerevoli dardi, proiettili, frecce e freccette di armi quasi sempre improprie, oggetti di ogni tipo che i due si lanciano durante le innumerevoli lotte e battaglie, altri che oltrepassano il confine per un’innata attitudine al lancio del Piccolo soprattutto quando qualche cosa non va per il verso giusto (giusto per lui naturalmente). Continua a leggere “Lasciagli credere che sia stato il vento”