A Pantelleria si giocava un gioco. Un gioco che non si giocava da nessun’altra parte. Era un gioco di bocce. Ma un gioco di bocce strano come strani sono i panteschi. Bocce squilibrate da un peso laterale, bocce trasparenti che con la luce del sole inondavano il campo e i giocatori di innumerevoli riflessi. E il campo si chiamava “tratto” ed era concavo. Il gioco non era mai “di forza”, ma sempre di destrezza. Gioco di parabole, di curve sinusoidali, mai dritte, mai dirette. Gioco di bocce che partivano e non si sa quando arrivavano e se arrivavano. Gioco silenzioso e magico, da guardare a lungo prima di avere il diritto di giocarlo.

L’ultimo “tratto” è stato chiuso a Pantelleria una decina di anni fa. Ci giocavano solo i vecchi e alla fine non sono rimasti nemmeno quelli.

Il racconto che segue testimonia di una lunga stagione di lavoro, di vita e di scoperte trascorsa sull’isola ed è dedicato al mio amico Giovanni. Racconta dell’ultimo Tratto.

L’ultimo Tratto

Il sole è tramontato in fretta e qualcuno ha acceso le luci artificiali. Come ogni volta il vecchio sbatte a lungo le palpebre prima che i suoi occhi si abituino. Lentamente però riesce nuovamente a mettere a fuoco la scena che gli si offre davanti. Ed è la scena consueta, la stessa che si dipana immutabile eppure sempre diversa da sessanta anni a questa parte. La panca sulla quale è seduto è quella destinata ai giocatori, nonostante lui non giochi più da molto tempo, ed è situata all’incirca a metà del lungo e concavo nastro di sabbia che costituisce il campo. Sulla parete stretta di destra c’è la scansia nella quale si conservavano le bocce alla fine della giornata. Alcune, nonostante sia in corso una partita, sono ancora li e la trasparenza del materiale con cui sono costruite rivela il loro segreto: un peso di piombo incastrato su un lato a rendere improbabili le traiettorie rette. Ancora più a destra il tavolo su cui si accumulano bottiglie di birra vuote e posacenere pieni. Dall’altra parte invece c’è la lavagna sulla quale si intravede ancora il punteggio di una partita che qualche smemorato ha giocato e registrato molti anni prima. Dietro di lui le finestre che di giorno forniscono luce alla stanza. Il “tratto” è tutto qui. Il “tratto” appunto, perché è così che chiamano sull’isola il campo su cui si gioca questo strano e antichissimo gioco di bocce. Fuori da quelle finestre c’è il mare. Il vecchio non può vederlo girato di spalle come è e non potrebbe comunque visto che fuori è oramai buio. Ma come sempre ne avverte la presenza. Il vecchio non ama il mare. E’ nato e vissuto in un villaggio dell’isola considerato da molti “di montagna” visto che è situato a ben 400 metri di quota. Ed è vero d’altra parte che lui il mare da vicino lo ha visto una sola volta. Ricorda ancora quel giorno di gennaio di sessanta anni prima quando suo padre e suo fratello, la guerra era finita da pochi giorni, lo avevano condotto alla “valata ri li turchi”, liscia e piatta scogliera ad est dell’isola, sulla quale era stato costruito un presidio militare composto da alcuni bunker. Erano andati li per rubare qualunque cosa ci fosse da prendere. Fili elettrici di rame, razioni alimentari, indumenti abbandonati durante la resa. Mentre i suoi mettevano a soqquadro i bunker lui, cercando bossoli vuoti di mitraglia, si mosse inconsapevolmente verso il mare. Superò la macchia di pino d’aleppo sempre senza staccare gli occhi dal suolo dove i bossoli si mischiavano a scaglie d’ossidiana. Poi improvvisamente sentì che qualche cosa era cambiata in quella ventosa giornata di gennaio e alzò lo sguardo. Davanti a lui c’era il mare. A pochi, pochissimi metri da lui il mare continuava ad inghiottire e a sputare la “valata” facendo vibrare ad ogni colpo l’aria e la terra. Sentì fortissimo l’impulso di voltarsi e fuggire. Altrettanto forte avvertì il desiderio di andare avanti e di farsi risucchiare dal mare. In preda a questi due impulsi contrastanti rimase immobile e immediatamente fu colto da un’altra paura. Ebbe la sensazione che il mare potesse staccare a colpi d’onda l’isola dalle sue radici mandandola alla deriva o peggio capovolgendola. Ebbe un capogiro, stava per cadere. Poi giunse la voce di suo padre che lo chiamava per tornare al villaggio. Andò via da li con un solo rimpianto: che il mare non gli avesse neanche bagnato i piedi.

Da allora non era mai tornato in riva al mare e ancora adesso gli capitava a volte, quando sollevava lo sguardo e raddrizzava la schiena durante la potatura di una vite o di una pianta di cappero, di vedere il mare lontano in tempesta e di provare la stessa sensazione provata quel giorno.

L’eco di un alterco riporta la sua attenzione sul gioco. Al fondo del “tratto”, dove invariabilmente il giocatore di turno manda il boccino, si sta svolgendo una discussione sull’assegnazione di un punto. Il vecchio sa che fra poco lo chiameranno. Le sue ginocchia non sono più in condizioni di reggerlo e la sua vista è molto peggiorata negli anni. Il vecchio non può più giocare ma può arbitrare e insegnare. Quando fra qualche minuto lo chiameranno lui si alzerà lentamente e si avvicinerà alla zona del tratto in cui avviene la discussione. Dirà solo “bianco” o “nero” e sarà subito chiaro chi ha vinto e chi ha perso. Il suo giudizio è inappellabile. Quanto all’insegnare sarebbe meglio dire che il vecchio si limita a dare consigli. Ma fra i giocatori ce n’è uno, uno solo, che si può considerare suo allievo e oggi è presente e sta giocando proprio quella partita. E’ il più giovane fra tutti. Molto più giovane degli altri che per lo più condividono con il vecchio la sua condizione di agricoltore stanco. Non è il vecchio che lo definisce suo allievo. Non è il giovane a rivendicare per se questo onore. Ma tutti al tratto lo dicono e nessuno si è mai permesso di sostenere il contrario. Il vecchio ricorda con precisione il giorno in cui vide per la prima volta il ragazzo. Era un pomeriggio primaverile e il tratto era quasi deserto. Solo due giocatori si affrontavano sul campo e il vecchio li guardava distrattamente. Non erano fra i migliori. D’improvviso la porta si aprì ed entrò il ragazzo. Si mosse eretto e spedito fino ad una sedia posta vicino alla panca dove era seduto il vecchio. Arrivato li sembrò perdere d’un tratto tutte le energie e il coraggio messi assieme per entrare e si afflosciò sulla sedia. Non provò neanche a sedersi sulla panca destinata ai giocatori e questo il vecchio lo apprezzò. Da quel momento venne quasi ogni pomeriggio per mesi. Arrivava più o meno allo stesso orario e si fermava per un paio d’ore. Il vecchio riusciva a scorgerlo con la coda dell’occhio. Guardava concentrato lo svolgersi del gioco, i gomiti sulle ginocchia e il viso fra le mani. Ogni tanto muoveva le dita come se volesse imitare o correggere la giocata di uno degli uomini sul campo. In tutti quei mesi il vecchio e il ragazzo non si rivolsero mai la parola. Poi un pomeriggio in cui mancava una persona per completare due squadre da tre uno dei giocatori invitò, quasi per scherzo, il ragazzo a provare. Egli non si mosse e per prima cosa guardò il vecchio. Il vecchio gli fece cenno di si con il capo. Il ragazzo allora si alzo e si avvicino al campo ma prima di entrarvi si tolse le scarpe per non rovinare il sottile strato di sabbia. Per la seconda volta da quando lo conosceva il vecchio pensò bene del ragazzo. Cominciò così ad insegnargli quell’antico gioco. Neanche allora il loro rapporto si dipanò lungo il filo delle parole. Il ragazzo prendeva la boccia e guardava il vecchio. Il vecchio socchiudeva gli occhi per fargli capire di tirare piano, inclinava la testa da un lato o dall’altro per indicargli la sponda o la traiettoria, muoveva leggermente il polso per suggerirgli l’effetto. E il ragazzo invariabilmente capiva e metteva in atto. La boccia si staccava lentamente dalla sua mano e cominciava il suo percorso sinusoidale. Raramente e solo all’inizio del suo apprendistato il vecchio aveva visto il ragazzo tirare affrettatamente, quasi mai lo aveva visto sbagliare, neanche una volta il ragazzo aveva scelto il tiro in linea retta che come diceva il vecchio, le poche volte in cui parlava, è il tiro degli arroganti e dei disperati. Il giovane era diventato bravo in fretta e gli sguardi fra di loro si erano diradati. Un matematico avrebbe trovato sorprendente l’abilità con la quale egli trasformava la geometria analitica della sua mente in impulso per la sua mano che invece di tracciare la sinusoide su un foglio lasciava che a disegnarla fosse una boccia trasparente sulla sabbia sottile del tratto. Ma per il vecchio il ragazzo era solo bravo. E silenzioso. E saggio. Ma forse neanche questi erano concetti che il vecchio esprimeva con chiarezza a se stesso. E poi erano passati tanti anni da allora e il ragazzo nonostante la sua età era considerato un’autorità dagli altri giocatori e tutti se lo contendevano quando era il momento di fare le squadre. Ogni tanto ancora, prima di un colpo particolarmente difficile, il ragazzo guardava il vecchio.

L’ex generale ha deciso che quello delle vigne sull’isola sarà il suo prossimo affare. Non ne sa nulla di viticoltura e nulla di vino. Ma sull’isola entrambi rendono bene e soprattutto costituiscono elementi di prestigio e questo è ciò di cui ha maggiormente bisogno in questo momento di grave tracollo della sua immagine. Ha comprato una vecchia caserma ai piedi della montagna grande e tutti i terreni gravitanti attorno ad essa. Gli sono costati poco. D’altra parte hanno il piccolo inconveniente di ricadere all’interno di una riserva naturale nella quale non sarebbe possibile fare ciò che lui intende fare. Ma il condizionale, appunto, è d’obbligo quando si parla dell’ancora potente ex generale. Lui sa che ciò che era impossibile per l’ex proprietario sarà sicuramente possibile per lui. Tutti quelli che lo conoscono sanno come è solito comportarsi. Odia le deviazioni imposte dalla legge, non tollera di dover perdere energie e risorse nei percorsi tortuosi ai quali la burocrazia lo costringe. Lui è un uomo che va diritto allo scopo e sarà così anche questa volta. L’ex generale è adesso sulla terrazza della sua nuova cantina e guarda orgoglioso le viti agitate al vento li dove prima c’era la macchia mediterranea.

L’attore famoso si è innamorato dell’isola a prima vista. Li ha scelto di abitare per la maggior parte dell’anno. Li ha fotografato aggrappate ai massi di basalto o languidamente distese sul bordo della sua piscina le donne più belle della sua vita. Li piano piano ha trasferito il grosso dei suoi affari e buona parte della comunità di vip gravitante attorno a lui. Ma si sa: i vip si annoiano presto. L’attore famoso ha comprato allora alcuni ruderi risalenti alla seconda guerra mondiale non lontani dalla sua proprietà. Poco importa se si trovano all’interno della riserva naturale e al centro di una delle zone più selvagge dell’isola. Anzi meglio. In questa maniera la beauty farm che ha in animo di costruire per la gioia e il godimento dei suoi danarosi amici sarà lontana da sguardi indiscreti. Sarà dura avere tutte le autorizzazioni necessarie che per legge non sarebbe possibile avere ma si sa che in questi casi è meglio forzare un po’ la mano. L’attore famoso ha deciso quindi di cominciare con un piccolo abuso, tanto per dare la sensazione che lui è uno che ama guardare davanti a se e che va dritto all’obiettivo senza fermarsi davanti ad alcun ostacolo. E così in poche ore, durante una notte ben illuminata dalla luna, la dissestata strada selciata che portava ai ruderi e vecchia almeno un paio di migliaia di anni è stata ricoperta di detriti per renderla percorribile dai mezzi meccanici e le antiche lastre sono state divelte e trasportare altrove. In questo momento l’attore famoso sta percorrendo la nuova strada con grande soddisfazione alla guida della propria auto.

Al tratto si avvicina l’ora in cui tutti andranno a casa. Si sta svolgendo l’ultima partita. Dieci punti per la squadra del ragazzo. Dieci per quella avversaria. Ma gli avversari hanno piazzato una boccia e  l’ultimo tiro tocca al ragazzo. Il pallino sembra lontanissimo da lui e così vicino al punto degli avversari. Il ragazzo è stanco e ha il cuore pesante. Sa che giocando sulla sponda potrebbe piazzare la sua boccia ancora più vicina al pallino e vincere. La mano gli trema mentre pulisce la boccia con un panno morbido. Sa d’altra parte che potrebbe tentare un tiro retto, il primo della sua vita, togliere di mezzo la boccia degli avversari e dare il punto alla sua squadra. Il ragazzo cerca lo sguardo del vecchio. E il vecchio in un attimo capisce quello che passa per la testa del ragazzo. Vorrebbe parlagli, dirgli che quello è gioco di sponde, che quando ha cominciato a giocare sapeva quali erano le regole e le ha accettate. Vorrebbe dirgli che il tiro retto è solo per gli arroganti o per i disperati ma improvvisamente riesce a mettere a fuoco gli occhi del ragazzo e capisce perché non può dirgli queste cose, perché non può più dirgliele. Il ragazzo raddrizza un po’ le ginocchia, impugna con più decisione la boccia e la fa volare, diritta, alla disperata ricerca della boccia avversaria. Le passa accanto, a pochi millimetri e poi con un colpo secco si spegne sulla tavola di legno posta al termine del tratto.

L’ex generale guarda un po’ stizzito i filari di vite quasi tutti appassiti e morti. Gli avevano detto che quello non era il terreno adatto. Gli avevano detto che li il vento soffiava troppo forte. Ma lui se ne è infischiato. “Poco male” pensa l’ex generale “in fondo ho fatto quasi tutto con finanziamenti pubblici”.

L’attore famoso sta leggendo indispettito il testo della denunzia che alcuni giovani ambientalisti dell’isola hanno fatto contro di lui. La guardia forestale ha già messo i sigilli alla sua nuova strada e le possibilità di arrivare diritto all’obiettivo della beauty farm si assottigliano notevolmente. “Poco male” pensa l’attore famoso “ho fatto bene nel frattempo a comperare le due colline vicino alla mia proprietà che sono anche fuori dalla riserva”.

Il giovane è l’ultimo a lasciare il tratto. Ha disposto le bocce in ordine sulla scansia, ha passato il rastrello sulla sabbia del campo, ha chiuso le finestre. Pensa a domani ma sa che domani non c’è più. Quella perduta poco prima è stata l’ultima partita sull’ultimo tratto dell’isola. Domani il proprietario lo chiuderà per trasformarlo in un ristorante. Fra una settimana lui partirà per il continente a cercare lavoro e dimenticherà l’isola e il vecchio e il tratto.

Il vecchio dorme nell’alcova della sua casa e sogna. E a piedi nudi sulla sabbia del tratto. Percepisce di non essere propriamente lui ma un miscuglio fra lui e il ragazzo. Il vecchio non si stupisce perché sa che queste cose nei sogni possono avvenire. Il tratto è all’aperto. La luce del sole batte sulla sabbia dorata. Il tratto è lunghissimo. Più un sentiero che un vero campo. Il vecchio si accorge infatti che assomiglia moltissimo al sentiero che attraversa il passo del vento e scende lentamente verso la “valata”. Ai lati ci sono tribune altissime sulle quali si accalcano migliaia di persone. Il pallino è lontanissimo ma nel sogno i suoi occhi sono di nuovo buoni e lui riesce a distinguerlo con chiarezza. Sugli spalti tutti ridono, lo prendono in giro, gli gridano “tira diritto, vigliacco, tira diritto”. Il vecchio si accorge di avere la boccia trasparente già in mano. Un raggio di sole l’attraversa e disegna arabeschi di luce sulla sabbia. Il vecchio allora piega le ginocchia, sorride leggermente, e lascia che la boccia gli scivoli di mano lentamente. E lentamente la boccia si inerpica sulla prima sponda quella che passa accanto ai suoi campi di uva e capperi. Lui la segue. La boccia disegna le curve alle quali è avvezza, l’uomo viene dietro in linea retta legato a lei dall’elastico dei suoi pensieri. La boccia si inerpica sulla seconda sponda che passa accanto alla tomba della moglie del vecchio e lui vede che ci sono dei fiori con piccole gocce di rugiada sui petali. E poi la terza sponda che attraversa la casa dell’albero nel quale il vecchio da bambino si nascondeva per sfuggire alle ire del padre. E la quarta dove lo aspettano gli amici d’un tempo con i bicchieri pieni del vino dorato che è il succo dell’isola. La folla sugli spalti rumoreggia, lo schernisce. Ma il vecchio è sereno. Oramai la boccia è vicinissima al pallino e il pallino è proprio sulla riva del mare, fermo al centro della valata. La boccia sembra avere esaurito le sue energie eppure centimetro dopo centimetro si avvicina. Il vecchio la guarda, la segue ancora con il pensiero, con il pensiero le da l’ultima spinta lieve. Solo lui nel rumore della folla che gli inveisce contro riesce a sentire il suono leggero che la boccia fa quando tocca il pallino.

Poi la scavalca ed entra in mare.

 

14 pensieri su “L’ultimo Tratto

  1. Bellissimo racconto, mi è sembrato di tornare, come in un viaggio nel tempo, di tornare indietro a decenni fa…quando le tecnologie (diavolerie) moderne non avevano ancora invaso la nostra vita ed i passatempi che le persone avevano erano semplici, intelligenti, belli e genuini. Bellissimo racconto. Un bacio grandissimo 🙂

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      1. Ma… a me è piaciuto molto. So che la lunghezza può essere un problema online… eventualmente puoi pensare di dividerlo in due parti, io a volte ho fatto così con i racconti più lunghi che ho postato… però bello è bello 🙂

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  2. Lo sguardo e i gesti del vecchio, magistralmente descritti, sono elementi di una sicilianita’ che poteva facilmente diventare retorica nello scrivere. Sei stato bravissimo ad evitare di cadere nella trappola della retorica.

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