Oggi dopo sei anni sono tornato al santuario campestre della Madonna di Rifesi, nel cuore dei Monti Sicani. Un meraviglioso santuario normanno del XII secolo circondato da querce plurisecolari che fanno da confine ad un pianoro immenso e verdeggiante. Uno dei tanti santuari campestri siciliani, tutti bellissimi, tutti dimenticati ed abbandonati (in questo i fedeli vengono una sola volta l’anno in agosto). La mattina era gloriosa, un vento teso componeva e scomponeva contro il sole nuvole agitate, le querce osservavano e proteggevano, la divinità, almeno per me che professo un cristianesimo fortemente panteista, mi sembrava più che mai presente, più che mai compiaciuta di tanta naturale meraviglia. E mentre tornavo piano sulla sterrata marnosa che conduce alla strada ho pensato ad una delle mie storie africane di tanto tempo fa.
Ero da poco in Tanzania quando entrai in contatto, soprattutto per ragioni sanitarie, con una grande missione cattolica ad una quarantina di chilometri dal villaggio dove lavoravamo. Era infatti la sede del più vicino ospedale che meritasse questo nome e dove trovavamo riparo in occasione di una delle tante malarie che affliggeva noi cooperanti. La missione era sostenuta da una grande e ricca diocesi italiana che aveva, negli anni, cambiato il volto di quel villaggio. Esso si era infatti trasformato in una piccola e prospera cittadina, assolutamente imparagonabile a tutti gli altri villaggi che la circondavano. La missione portava avanti un tipo di cooperazione che non corrispondeva alla nostra idea di cooperazione e, come sempre accade in questi casi, nel tempo aveva prodotto tante cose buone e tante contraddizioni. Quando vi giunsi io era da poco stata completata la nuova chiesa. Era una costruzione enorme e bellissima. Un’importante architetto italiano si era ispirato ad una tipica casa Wahehe per progettarla, il tetto del corpo centrale era un’unica campata interamente realizzata in legno ed assemblata a terra prima di porla a copertura della struttura, a decorare l’interno della chiesa erano stati chiamati importanti artisti locali che l’avevano ulteriormente impreziosita con bellissime e coloratissime pitture murali che, un po’ in stile tinga tinga, riproducevano alcune scene del vangelo. Ogni volta che andavo alla missione provavo ad interrogare qualcuno dei sacerdoti o delle suore per conoscere la storia di quell’incredibile opera d’arte ma tutti erano evasivi, nessuno ne parlava con piacere ed una strana vergogna sembrava serpeggiare soprattutto fra gli europei. Poi finalmente, non ricordo da chi, venni a sapere la vera storia. Un giorno i ricchi sostenitori della missione fecero sapere a religiosi locali che a loro avviso la vecchia chiesa non era degna di una missione così importante e prestigiosa e che loro avevano raccolto 5 milioni di euro (!!!) per costruirne una nuova. I sacerdoti e le suore fecero sapere che per loro invece la vecchia chiesa andava benissimo e che con quei 5 milioni di euro loro avrebbero potuto fare una serie di cose decisamente più utili per le popolazioni locali. Allora i donatori risposero che o quei soldi li usavano così oppure loro non li avrebbero mandato. I missionari dissero che avrebbero costruito la nuova chiesa e così fu. Adesso a me piace immaginare, mi faccio certi film nella mia testa che non vi dico, e in molti di questi c’è la divinità per come a me piace pensarla. Ed io penso che la divinità ogni giorno (che un suo giorno chissà quanti dei nostri secoli dura) si faccia un giro della sua creazione. Si ripassa proprio tutto, da quello che ha fatto lei nei primi sei giorni a tutto quello che ha aggiunto poi questa strana creatura a cui lei, la divinità, ha insufflato dentro un po’ del suo spirito. Io credo che, fra le altre cose, essa guardi con piacere quella grande chiesa a forma di casa Wahehe in quel lontano villaggio africano, che sicuramente guardi con piacere le bellissime chiese della mia città, per esempio, lo splendido duomo di Morreale (senza chiedersi troppo magari quanti esseri umani sono stati sfruttati per costruirlo e quanti magari morti), la rutilante cappella Palatina (sorvolando, letteralmente, sul potere che questa ha simboleggiato nei secoli e che ancora adesso simboleggia). Ma con altrettanta certezza io credo che quando alla fine del suo giro, alla fine del suo giorno, stanca come nel sesto giorno della sua creazione, lei (sempre la divinità) scelga di accasarsi nel santuario campestre della Madonna di Rifesi, e lì passa tranquillamente la notte.

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3 pensieri su “Dove la divinità si accasa

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