Cose che durano una vita

Cose che durano una vita:
una matita che porto sempre in tasca
assieme ad un temperino
e ad un taccuino
buono per i pensieri fugaci.
Il tuono che annuncia la pioggia
ed io che mi svesto
e nudo le do il benvenuto.
Il primo minuto
in cui ho visto i miei figli,
i gigli, i giaggioli, le orchidee
nelle primavere della mia terra.
La notte in cui scoppiò la guerra
e il giorno in cui la guerra smise.
La prima volta che Vera mi sorrise
(che non accade tanto spesso),
il nesso preciso fra il dire e il fare.
Volare sul Palatimone,
il timone diritto e la prua testarda
di quella barca che chiamo coerenza,
la presenza delle mie due madri
Incessante in case e parole.
I ladri e lo sposo
che possono giungere
in qualunque momento
e per i quali l’olio risparmio.
Il cimento che aspetto da sempre,
un pensiero retto, un lavoro ben fatto
che rendono il sonno profondo,
il secondo in cui incontrai il fiume
e il mondo per me cambiò per sempre
e mi sembrò di capire la lingua di Dio.
Il mio credere, il mio raccontare,
il mio condurmi stanco fino a sera
e d’improvviso la primavera
scorgere in un canto.
Tanto e tante altre ancora
sono le cose che dimenticare non posso
e che durano una vita.

Ogni giorno

Il Grande mi chiedeva:
“papà mi asciughi i capelli?”.
Poggiava la sua testa
prima sulla mia pancia,
poi, col tempo, sul mio petto.
Fosse ancora qui continuerei
a ripetere il rito senza stancarmi,
non fosse che dovrei io adesso
poggiargli sul petto la testa.

Il Piccolo ogni mattina mi chiede:
“papà mi allacci le scarpe?”.
E come fanno i cuccioli
si mette a pancia all’aria
e le suole poggia
sulle mie ginocchia.
Dovrei insegnargli?
Dovrei dirgli che impari
ché il tempo è venuto?
Gli dico solo
di mettere il piede dritto
e compio in fretta quel rito
che dà ragione al tempo
e torto all’età.

A questo corpo morto
ancora per un poco
ancoro la nostra barca
che anche ferma
varca ogni spazio
per giungere lì
dove io sono ancora padre
e ancora figlio tu,
ogni giorno di meno,
ogni giorno di più.

Poco dopo

Ti sembra troppo?

La gente dice che è niente

per tutto quello

che fino ad oggi ti ho dato.

Che ne sanno loro del nostro presente?

Che ne sanno loro del nostro passato?

Che ne sanno di quello che per me sei stato?

Accetta dunque poche sommesse parole

e in cambio promettimi quattro promesse:

che non scorderai mai il fiume,

che per me metterai sempre un lume

dietro la finestra,

che continuerai a fare cose

senza uno scopo,

che alla fine farai di tutto

per non giungere poco dopo.

Un secchio di acqua salata

Un secchio di acqua salata

Attraverso la piana di Cerda mentre vado verso Catania. Gli impianti di irrigazione a pioggia spruzzano la poca acqua rimasta nell’Imera settentrionale sulle piantine di carciofo immerse in questa estate infinita.

E la mia mente torna al tempo dei miei anni alla facoltà di agraria e a quando scoprii, studiando coltivazioni erbacee, che sulla piana di Cerda era inveterata un’abitudine: quando gli agricoltori pensavano che le piogge settembrine fossero ormai imminenti (in un tempo nel quale l’incertezza era solo questione di qualche giorno), pur di avere un prodotto anticipato, attuavano una pratica rischiosa. La prima irrigazione degli ovuli o dei carducci di carciofo la facevano con un secchio di acqua di mare, nella speranza che presto sarebbe arrivata la pioggia ad eliminare il cloruro di sodio ed irrigare adeguatamente la coltura.

E mentre ci penso mi chiedo se in fondo anche noi genitori non facciamo la stessa cosa con i nostri figli. Li abbeveriamo con quel poco che abbiamo, con il liquido salmastro del nostro amore, con la scarsa risorsa idrica della nostra esperienza, dilaniati fra la speranza che giunga presto la pioggia, dono esclusivo del nostro Pianeta, e l’incertezza e la paura che il tocco vivificante della realtà e del mondo possa arrivare troppo tardi.

Peschi casuali

Peschi casuali

Nel mio giardino crescono

peschi casuali.

Sono semi giunti lì

su ali di bambini,

sono figli di spuntini

consumati di fronte l’estate.

Per favore non li tagliate.

Sono il ricordo vivente

di ore passate

a giocare sul prato,

di una stagione che già

non sente più quelle grida,

quelle risate,

di giornate che scolorano

nel ricordo e nel tempo.

Esse con Zero

Appena entrate in macchina
spengo la radio.
Nemmeno la musica
ha cittadinanza
nel nostro stare insieme.
Rischierei infatti
di non cogliere
una vostra parola,
una battuta,
una sciocchezza,
un canto,
ed è una perdita
che non posso permettermi
essendo voi il senso,
voi il sigillo,
voi il punto di ripartenza,
l’ascissa s con zero
da cui il mio moto
di punto materiale
ha cominciato
la sua traiettoria.
Solo al silenzio
riconosciamo un titolo
perché in esso
cogliamo senza dubbio
il battere dei nostri cuori
all’unisono.

Lunghi e meravigliosi

Ricordi?
Lì per lì non ti risposi
ché retorica mi parve la domanda.
Perché li amassi così tanto
mi sembrava nelle cose,
mi sembrava evidente agli occhi.
Eppure questa mattina,
nei rintocchi della canicola,
il mio cuore,
che distesi li vide nei loro letti,
finalmente rispose:
“perché sono lunghi
e meravigliosi”.

Gli estremi di un segmento

Gli estremi di un segmento

Tante volte ho già scritto di come il Piccolo e il Grande siano diversi fra di loro. L’uno l’opposto dell’altro, gli estremi di un segmento (la metafora non è casuale). Remissivo l’uno e assertivo l’altro, misurato e misurante il primo, privo di qualunque senso della misura il secondo. Anche lì dove sembrano assomigliarsi basta guardare bene per capire che si tratta solo di convergenza evolutiva, l’ala della mosca e quella dell’uccello per ottenere lo stesso scopo a fronte di due mezzi assolutamente differenti. A prima vista possono infatti apparire identici nella loro volontà di evitare qualunque attività che sia anche vagamente in odore di studio e di lavoro. Ma anche in questo caso diverso è lo strumento con il quale si oppongono ai nostri tentativi di condurli sulla retta via. Il Grande infatti è provvisto di una pigrizia perfetta che lo lascia immoto lì dove si trova in balia della sua indole inerziale. È fermo? Resterà fermo per sempre se qualcuno o qualcosa non interverrà ad alterare il suo stato. Sta compiendo un’azione? Potrebbe continuare all’infinito. Sarebbe sbagliato pensare che il Piccolo è, come il fratello, un pigro. Cesare invece è uno “scansa fatiche”. Al contrario del Grande infatti lui è dotato di un’energia illimitata ed incoercibile che però adopera in maniera anarchica e che non presuppone alcun tipo di canalizzazione. Il suo essere uno scansa fatiche nulla ha quindi a che vedere con la stasi che caratterizza l’indole del fratello ma è semmai un atto cosciente e creativo che il nostro pone in essere con il solo scopo di fare ogni volta “come dice lui”. Oggi compiti domenicali. Guarda il diario e lancia un urlo di vittoria: “yuppieeee…pensavo che i compiti fossero per oggi e invece sono per domani!!!”. “Cesare e noi li facciamo lo stesso oggi ché domani abbiamo altro da fare”. Breve e sanguinosissima colluttazione verbale dalla quale ne esco fuori vittorioso solo grazie alle mie raffinatissime doti di pedagogo: “Cesare basta! Si fa come dico io!”. Il nostro abbozza e recupera il libro di geometria dal buco nero del suo zaino. Rette, semirette e segmenti. Procediamo spediti perché il tipino quando si presta è svelto, intuitivo ed acuto. “Ok Cecio, lo vedi…i segmenti sono descritti da due lettere…AB per esempio…oppure CD…adesso prendi il righello ché sul libro c’è un esercizio nel quale dobbiamo misurarne qualcuno”. Ormai vicino alla fine del compito, come l’escursionista che dei trenta chilometri fatti soffre soprattutto l’ultimo, il suo sguardo va all’ultimo esercizio e improvvisamente si illumina. “Papà mi dispiace l’ultimo non lo dobbiamo fare (vedi foto)… c’è scritto NO”. Non so se legarlo alla sedia o scoppiare a ridere