Qualcuno dirà che in queste occasioni tutti diventiamo ingegneri strutturisti. Ed effettivamente anche una frequentazione superficiale dei social sembra confermarlo.

Per quamto mi riguarda anche in questa occasione rivendico invece la mia vocazione ambientalista, nel senso di uno che ritiene che alla base di tutto stia l’ambiente del nostro pianeta e da quello bisogna partire ogni volta che si vuole affrontare una problematica complessa.

Le considerazioni più ardite (e come sempre minoritarie) e nelle quali maggiormente mi ritrovo all’indomani dei fatti di Genova riguardano il fatto che quella del cemento armato è una tecnologia relativamente recente e della quale molto poco sappiamo soprattutto in termini di durata nel tempo.

D’altra parte le variabili sono talmente tante (non ultima quella corruttiva che in molti casi trasforma quello che dovrebbe essere un cemento armato in uno tragicamente disarmato) che nessuno se la sente di dire con certezza quanto può durare un opera del genere.

Di sicuro oggi molti sembrano almeno concordare sul fatto che moltissime opere abbiamo abbondantemente superato la soglia oltre la quale sono necessari profondi interventi di ristrutturazione e rafforzamento.

Non ricordo quale autorità nazionale appena ieri su Repubblica affermava che ci sono almeno 10.000 grandi e medie strutture pubbliche in queste condizioni.

Permettetemi a questo punto un conto che dalle nostre parti (dove il rispetto di genere non è molto considerato) viene detto “alla fimminina”. Proviamo ad immaginare che per ognuna di queste opere siano necessari 100 milioni di euro. Di sicuro ci saranno opere per le quali basterà meno ed altre per le quali servirà molto di più. Tanto per darvi un’idea, per esempio, la ristrutturazione del solo viadotto Himera lungo 2 km, è costata 11 milioni di euro. Se si considera che l’autostrada Palermo-Catania è per ben 60 chilometri su viadotto e immaginando che per questi siano già necessarie le stesse attività di manutenzione possiamo presumere che solo per quest’opera è necessario approntare più di 300 milioni di euro.

Se la mia presunzione (in tutti i sensi!) è corretta questo vorrebbe dire che per agire sull’intera rete di opere, al netto di tutte le altre cose che andrebbero fatte su altro demanio che già da anni urla il suo disperato bisogno di interventi (uno per tutto il patrimonio immobiliare scolastico), e solo per quella, ci sarebbe bisogno di 1.000 miliardi, poco meno della metà del nostro attuale ed irriducibile debito pubblico.

Intanto sapete cosa cominecranno a fare da domani (anzi da ieri) i sindaci e le autorità che hanno competenza in questo campo. Quello che da sempre fanno e quello che l’intramontabile Clemente Mastella, oggi Sindaco di Benevento, ha già fatto: valutando il rischio per la popolazione (e per se stessi) prioritario rispetto al disagio, chiuderanno tutte queste strutture fino a quando qualcuno sarà in grado di occuparsene.

Cosa ne deduco io da tutto ciò? Niente di nuovo: l’uomo ha fatto ancora una volta il passo più lungo della gamba.

Si è affidato ancora una volta ad una tecnologia di cui non conosceva ne tenuta nel tempo ne esiti futuri (un po’ come con l’amianto, tanto per intenderci), una tecnologia energivora e avida di materia, una tecnologia buona per un universo nel quale è possibile prefigurare uno sviluppo senza fine e una dotazione infinita di energia e materiali, universo che però non è quello nel quale viviamo.

Qualcuno dirà a questo punto: “la solita Cassandra che vuole riportarci al medioevo!”. A qualcuno voglio dire oggi: “e invece con la tecnologia del cemento armato, in un’epoca nella quale non riusciamo più a stare economicamente dietro…non dico alle grandi opere…ma nemmeno alle strade interpoderali e provinciali, dove siamo destinati ad andare?”.

Quando per la prima volta, tanti anni fa, arrivai in Sardegna, mi stupii di quanto scomodo fosse spostarsi da un punto all’altro dell’isola, Niente autostrade e una rete, nemmeno tanto fitta, di strade ancora sterrate. Quanto scomodo era spostarsi, e quanto bello, significativo, lento, memorabile e soprattutto capace di porre la persona in diretto contatto con il territorio.

Immagino che i primi a dissentire saranno molti sardi.

Ricordiamoci però che il Ponte Morandi è collegato con tutte le strade che entrano ed escono da Genova e che rendono in questo momento impossibile la vita di quella città, e che quella città è collegata con una rete estesissima di autostrade che la collegano con tutto il paese e il paese con altre nazioni. E che se questo non bastasse c’è una TAV in arrivo e chi in questi giorni si è sentito (Dio lo perdoni) di rimettere in ballo la questione “Ponte sullo Stretto”.

Una cosa credo alla fine del mio sproloquio: un passato inrecuperabile e un futuro intraguardabile, al cospetto di un sistema che mostra la sua insostenibilità da più parti (cemento armato, plastica, pesticidi, ecc.) ci impongono di sicuro una riflessione questa volta si “strutturale” ma non nel senso ingegneristico del termine, ma che riguardi in maniera seria e rivoluzionaria la struttura della nostra società.

2 pensieri su “Insostenibilità di una struttura

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