Sperimentazione finita

Sperimentazione finita

Allora Signore

possiamo considerare finita

da qui a poche ore

questa sperimentazione?

Non mi sembra ci sia ragione

per continuare sta storia di dita

che congiungono l’uomo al suo Dio.

A parere mio va messo un punto

a questa storia infinita,

a questa universale rottura

fra il creatore e la sua creatura,

un essere talmente volgare

da rendere volgare perfino la vita.

18 + 19

18 + 19

Per i primi diciotto 

il mio cuore era altrove,

dove non ricordo

ché ormai tanto non importa.

Ma per gli altri diciannove

sono stato sempre

sulla porta dei tuoi occhi belli,

immerso nelle onde d’incanto

dei tuoi capelli,

nel posto che da allora

più di tutti mi corrisponde:

a te accanto.

Più leggero

Più leggero

Più leggero,

devo essere più leggero,

ché sul sentiero di domani

non ammettono umani

carichi di troppi pesi.

Libero dal pensiero

che fiacca il mio giorno,

libero dalla biacca

che mai più

mi passerò sul volto.

Pronto all’ascolto,

disposto al canto,

per manto la notte,

per abito il vento.

Più leggero

e più lento,

agire d’istinto

dopo lunga riflessione.

Nell’istante e nel tempo

dissetarsi alla fonte

nell’incanto di nubi

che mi sfilano accanto.

Non più stanco ma pronto,

non più vigile ma attento,

il cimento al mattino,

alla sera il commento,

sufficiente e dimesso

bere sino alla fine

questa vita leggera.

La casa

La casa

Perché davvero, devi credermi, la casa non è muri, non è mattoni, né tegole o cemento. La casa non sono i mobili che l’arredano, i detersivi che la puliscono, gli allarmi che la proteggono. La casa non è nemmeno in fondo i libri o i quadri alle pareti, non è le luci che allontanano il buio, o la stufa per mitigare il freddo. Tutto questo è rete sottile che sembra solida, è sovrastruttura che nel tempo mostra tutta la sua fragilità, la sua mancanza di senso. Come può essere perfettamente pulita, perfettamente ordinata, ben ammobiliata e con le pareti perfette una casa che è piena di vita? Potremo viverci con qualche crepa alle pareti? Potremo viverci con i muri screpolati? Potremo viverci con qualche spiffero e la maniglia della porta che si stacca in continuazione? Io credo di sì.

E invece a quale pezzo di vita dovremmo rinunciare perché essa sia più pulita, più ordinata? A quale pilastro di vita, a quale muro portante di vita, a quale fondamenta di vita siamo disposti a rinunciare perché essa appaia come una di quelle belle case che la vita diserta? Vogliamo rinunciare ai ragni negli angoli, o forse alle formiche che abitano le nostre mura? Vogliamo rinunciare a criceti, tartarughe, gatti, cane, galline e api? Vogliamo rinunciare a quei due esseri improbabili che riempiono le nostre giornate, l’uno l’ombra meridiana dell’altro, oppure a noi, a noi stessi che a piedi nudi l’abitiamo? Vogliamo infine rinunciare all’erba del prato appena fuori, o agli alberi che la aggrovigliano in una rete di radici, o agli storni che giungono a novembre, o alla ghiandaia che gracchia e pretende le ghiande del leccio, o alle due poiane che alte sul nostro capo cercano la giusta ascensionale? A nulla di ciò possiamo rinunciare perché la nostra casa è cellule e sangue, prima di essere sabbia e tufo, la nostra casa è cheratina e clorofilla, prima di essere ferro e argilla. Perché la nostra casa è un canto a salutare l’alba, è il vento che passa tra le foglie, e la risata cristallina dei bambini che giunge la sera dalla stanza accanto.

Forbici

Forbici

Le persone sono forbici. Ho pensato per un poco che lo fossero anche determinate esperienze, certi luoghi che ho visitato nella mia vita. Ma la verità è che collegate a queste esperienze, in qualche modo riconducibili a quei luoghi, c’erano sempre delle persone e che quelle, non altro, fossero forbici. Alcune persone almeno, non tutte quelle che incontriamo, non tutte quelle che in una maniera o nell’altra entrano in relazione con noi ma solo alcune, sono forbici. Esse tagliano la nostra vita a metà. E quando lo hanno fatto vediamo da un lato del tavolo del sarto il pezzo di vita di prima che le conoscessimo, prima che nascessero, prima che bussassero alla nostra porta. Dall’altro lato del tavolo la nostra vita di poi, la nostra vita per quella che è diventata dopo che è stato effettuato il taglio. Un filo sottile a volte tiene ancora uniti i due pezzi ed è la convinzione che sia il secondo pezzo a dare sostanza al primo, che senza il secondo pezzo anche il primo non avrebbe ragione di esistere ed una domanda ci accompagna sempre quando pensiamo a quella persona: “ma come ho fatto a vivere senza di lei?”. Sono tanti i tagli che subiamo nel corso della nostra vita e succede a volte che questi producano coriandoli, che uno di questi, magari un po’ maldestro, possa produrre il crollo dell’intera struttura. E’ allora che sentiamo che la nostra vita si è ridotta ad un mucchio di frammenti. Altre volte invece accade un fatto miracoloso. Vi ricordate quel “lavoretto” che le maestre ci facevano fare durante il periodo prenatalizio? Un foglio di carta piegato “magistralmente” e tanti tagli da fare, tagli accurati, conformi ad un disegno ma che potevano apparire casuali e disordinati a chi ci guardava dall’esterno. E poi il miracolo. Con mani impacciate toglievamo le pieghe a quel che restava del foglio e improvvisamente davanti ai nostri occhi si apriva la meraviglia di un fiocco di neve di carta. Bello e candido come un vero fiocco di neve e come un fiocco di neve unico ed irripetibile. Ecco, questo a volte i tagli delle “persone forbici” producono nelle nostre vite. E’ quello che auguro e spero avvenga nella vita delle persone che amo.

Che nulla cambi

Che nulla cambi

Fate che nulla cambi,

non per tanto,

il tempo che avanza a questo canto,

alla danza che ancora oggi

faccio col fiume e i monti.

Solo io devo fare i conti

con quel lasso che resta,

solo io il passo

che dalla festa mi allontani.

Solo io le mani unire

a raccogliere acqua e ricordi,

a raccogliere, come fossero culla,

i giorni che restano

affinché per coloro che amo,

ancora per il tempo in cui sono,

non cambi nulla.