Ai miei figli

Quando è che vi ho avuto?

Quando per la prima volta sono caduto

e ho capito che potevo farmi molto male?

Quando ancora una volta il portale

davanti a me si è chiuso

e con lui tutto il passato?

Quando di lato

a quella collina di terra rossa

mi sono innamorato dell’ultimo fiume?

Quando nella fossa

hanno calato le piume di quell’uccellino

che adesso è un uomo lontano?

Quando in quel primo giorno

ho sentito la tua mano

e ho capito che eri tu quella

e quello il nesso che mi mancava

e che adesso ho?

Forse, e alla fine,

vi ho avuto soltanto

quando mi è sembrato che l’universo

mi avesse dato il permesso.

Incontro

Impareremo,

forse troppo tardi,

che non si può vivere

la primavera di striscio,

a parole,

per interposta persona.

Ché quando suona

del suo vento il corno

è lì che bisogna essere.

E quando nel nuovo giorno

compone le tessere

di un alba impareggiabile

bisogna essere lì

e non altrove.

Ché quando la gemma schiude,

secondo per secondo,

e lì che bisogna stare

in ogni momento

e non persi in un altro universo.

Ciò significa

che questa poesia,

ogni suo singolo verso

privo di suoni e di odori,

è solo inutile commento

a ciò che non è ancora stato

perché non è lì che siete.

Prima che venga sera dunque,

che tutto il tempo vada via,

da essa staccate gli occhi

ed uscite fuori

ad incontrare primavera.

Poi tornate a casa

e scrivete la vostra poesia.

A sua immagine e somiglianza

Discreto è l’universo.

Impone il veto,

imprime il verso,

è l’inverso dell’inutile dire,

dell’inutile sentire.

Spire distende

in rette parallele,

vele sospinge

fatte di stelle,

solo quelle e a stento.

Allora diventa vento.

Del cimento non è sazio

e alla pace anela.

La sua via è danza,

silenzio il suo canto.

La pioggia, le pagine di un libro,

io che scrivo questa poesia

nella mia stanza,

tu che con la vita mia

suggelli un patto.

Tutto ciò è fatto

a sua immagine e somiglianza.

Dune

Dune

“Saper leggere il libro del mondo con parole cangianti e nessuna scrittura” scrive Fabrizio De André in Khorakhané. Non dovrebbe essere il nostro compito? Volare un po’ più in alto della pena del giorno e provare ad interpretare il linguaggio dell’universo e, lì dove si posa, il dialetto. Fra lo zero assoluto e la temperatura di Plank, ma così vicini al primo, succede un fatto straordinario, in un universo che dal momento in cui esiste, un secondo dopo il Big bang, non fa altro che scivolare verso il disordine, lungo la china entropica, arriva una cosa assurda ed improbabile come la vita. Tutto ambisce ad un disordine senza futuro e lei invece no, senza alcuna possibilità di successo, lei prova ad invertire il verso, cerca di andare in direzione opposta. Disordinatamente gli uomini, coloro ai quali l’universo attribuisce il compito della sua stessa narrazione, in maniera un po’ più ordinata gli animali, assai più disciplinate le piante. Tutti comunque a tentare ciò che la termodinamica non consente, quello che una divinità caotica non permette, ciò che è contrario alle leggi di questo angolo di universo: risalire la china entropica, anche solo per un poco.

In questo lasso termico così risicato, in questo frammento a forma di pianeta c’è un fenomeno che più di tutti amo, e che più di ogni altro, secondo me, rappresenta, in forma associata, questo tentativo di andare contro quella corrente che porta, spietata, al nulla cosmico: queste sono le dune.

Su questo nostro pianeta accade un fatto incredibile, qualche cosa che va ben oltre il miracolo. Le piante in associazione con alcuni cicli, che del pianeta vivente costituiscono la disciplina, decidono di invertire il senso. Alla supremazia distruttiva del mare, alla connivenza del vento con l’entropia, contrappongono un fare corpuscolare che senza speranza alcuna propone un alternativa al caos: l’avanzare della terra. Il vento e il mare corrodono, erodono, spingono al disordine, le dune si oppongono, avanzano, al vuoto rispondono con il pieno, al nulla con il futuro.

Perché non esistono santuari dove si contemplano le dune? Perché non esistono cerimonie dove, fra canti sublimi e profumi di incenso, uomini coperti da sacri paramenti celebrano il miracolo delle dune? Perché non ci sono sacerdoti che durante le loro omelie paragonano il messaggio di Cristo alla creazione di una duna, entrambi tesi a proporre una buona novella che per la prima volta nella storia di questo universo racconta di qualcuno o qualcosa che propone una storia nuova: non più soltanto morte, troppo facile da dare, ma vita da contrapporre ad essa. E infine, perché nessuno immagina un “angelo delle dune” un essere alato che ci sussurri all’orecchio un canto di speranza dove semi, sabbia e vento si uniscono, una poesia (mi perdoni De André) che reciti: “La duna oggi ci ha insegnato,

In quell’ora di magia,

Per ogni goccia un verso

Per ogni goccia un verso:

è questo il mio patto

stretto con l’Universo.

E fatto sta che lui

di questo si compiace

ed io trovo pace

dopo ogni rovescio.

Su questo guscio pianeta

che poggia sul vuoto

un unico voto ho fatto,

un’unica meta ambisco

da quando al mio tempo sono nato:

tributare un canto stonato

affinché la pioggia non smetta.

Per quel che vale

questa è la ragione per la quale

tanto di poesie racconto.

Se fosse

E se fosse il mio canto

a scandire la danza

fra il giorno che muore

e la notte che avanza?

Se fosse il mio canto

che agita le foglie

e nell’alba rorida

la rugiada coglie?

Se fosse mio il canto

che diventa racconto

e conduce il vento

oltre il cielo ed il tempo?

Questo è il mio canto

che ogni giorno verso

nello spazio immenso

di quest’universo.

E’ per questo?

E’ per questo?

È per questo

che quella particella infinitesimale

ad un tratto cominciò a vibrare,

e poi esplose,

e sia la luce, e la luce fu,

e sia il tempo, ed il tempo fu,

e tutto, tutto in fila fino ad adesso, fino a qui?

È per questo

che quel grumo di roccia cominciò a vorticare

e improvvisamente, inaspettatamente,

ricevette il dono impareggiabile dell’acqua,

il dono del vento,

il dono di una stella non troppo vicina,

il dono di una stella non troppo lontana?

È per questo

che quella minuscola particella

raccolse tutta l’energia, e tutta la speranza,

e con quelle armi esigue e taglienti

dichiarò guerra all’entropia

e per se stessa rivendicò il nome di vita?

È per questo

che quello strano essere

emerse dalle acque e si spinse sulla terra

dove nessuno dei suoi prima era ma arrivato

e sentì che quell’aria diventava respiro,

quella luce futuro?

È per questo

che un urlo giunse improvviso

dal profondo della foresta

e solo dopo apparve quella figura esile

che prima fra tutte procedeva eretta

e si riparava gli occhi

con quella mano così nuova e così bella

e prometteva quello che mai nessuno

aveva potuto fino ad allora:

prometteva lacrime,

prometteva sorrisi?

È per questo respiro profondo

che stanotte mi circonda

e non mi fa dormire?

È per queste vostre mani

(le stesse di quell’essere come voi esile)

che inconsapevolmente mi poggiate

sul viso e sul petto?

E’ per il battito dei vostri cuori

che non sento ma intuisco

dietro il tremore delle vostre ciglia lunghe?

Si, io lo so che tutto questo

è successo per questo.

Che voi siete i due figli di questo universo

che in voi si compiace,

che in voi ha posto occhi

capaci di contemplarlo

e di voi conosce tutto,

persino la vostra età conosce:

uno, bambino di quattordici miliardi e quattordici anni ,

l’altro, bambino di quattordici miliardi e nove anni.

E stanotte, dalla spalliera del letto,

come goffa cometa

mi lancio nel vortice del vostro respiro,

mi getto con tuffo perfetto

nel fiume dei vostri sogni

e ad ogni ansa

della vostra anima bambina

spero di incontrarvi

per dirvi di dormire tranquilli

che dopo tutto questo tempo,

dopo tutto questo spazio,

io su di voi veglio

fino a che non giunga mattina.

Viatico

Viatico

Uno scampolo di natura

è il viatico a me concesso

per ritrovare me stesso

all’inizio di ogni giorno.

La radura immersa

nel primo mattino,

quell’albero che potrebbe

essere un pino d’alta quota

ma che invece è un diospiro,

il respiro del mare invisibile

che passa discreto fra l’erba nuova.

L’universo pretende che mi muova

ed io fedele al mandato ricevuto:

respiro, amo, muto

guardo alzarsi il sole.

Non è forse il caso?

Non è forse il caso?
Ancora una volta siamo raggiunti da una “notizia cosmica”. Sembrerebbe che hanno scoperto un pianeta simile al nostro ad appena 100 anni luce da noi. Sempre di più le scoperte scientifiche ed una nuova consapevolezza rispetto alla presenza e diffusione della vita ci hanno permesso di sviluppare con chiarezza negli ultimi anni due idee: la prima è che la vita non è un evento così raro nell’Universo. La vita è più tenace di quanto non immaginiamo, si annida, si riproduce con smisurata generosità, resiste. Non mi stupirei affatto se nei prossimi anni dovessimo trovare forme microscopiche di vita su Marte o su Titano. Sono sicuro d’altra parte che su ogni pianeta che sia ricompreso all’interno di quella fascia di relazione con la sua stella detta appunto “fascia della vita” ci sono ottime probabilità che la vità abbia avuto modo di svilupparsi.

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