Quello della felicità è territorio impervio. Ti sembra di mettere i piedi su terreno solido e sei già per metà immerso nelle sabbie mobili. Ti sembra di nuotare in acque limpide e aperte ed improvvisamente ciò che era liquido si trasforma attorno a te in sostanza vischiosa e impenetrabile. Quello della felicità è veramente territorio impervio ed io già lo sapevo mentre organizzavo questa tre giorni con il Mio Adorato, forse l’ultimo tempo congruo assieme, io e lui da soli, prima del tempo del distacco, di questo agosto che viene troppo in fretta, calzando gli stivali delle sette leghe.
Allora mettendo da parte la mia avversione per il calcio, ché a me piace pensare che risalga al tempo in cui Berlusconi diventò presidente del Milan (che era la squadra per la quale prima del suo avvento tifavo), gli ho detto “che fa, ci vuoi venire con me tre giorni a Napoli in occasione della partita dell’anno Napoli-Juve” (lui per ragioni misteriose tifa Napoli). Figurarsi se quello perdeva questa occasione. Solo che lui non lo sapeva, o forse sì, che era un viaggio che ne replicava un altro fatto più di cinquant’anni fa, con una nave simile a quella, in una città simile a quella, con l’unica differenza che colui che adesso è padre allora era figlio come è lui adesso e l’acquario di Napoli, che allora mi sembrò enorme, oggi assume le sue reali dimensioni (o forse no, e le sue reali dimensioni erano quelle di allora?). E poi ieri sera eravamo finalmente nel “catino del Diego Armando Maradona” (lo vedete che se anche non mi interesso più di calcio parlo ancora perfettamente il linguaggio del telecronista sportivo!?!?!) e per quanto mio cugino avesse fatto un miracolo nel trovarci i biglietti non eravamo seduti accanto e nemmeno vicini. Io in un punto della zona distinti e lui ad una quarantina di metri da me accanto a cugina e fidanzato della cugina. Ed io a rosolarmi per tutto il primo tempo in quella sostanza grassa come la sugna che è il rimpianto: “quanto sarebbe stato bello vedere accanto a lui la partita…ma in fondo è la sua felicità che conta e non la mia e lui in questo momento è sicuramente felice anche se io non sono accanto a lui”. E poi un posto si libera accanto a me e tutto il tempo da quel momento a friggere nell’olio leggero del rimorso futuribile: “e se gli dico di venire e poi il Napoli perde? Lasciamo stare e teniamolo lì tranquillo dove è”. E poi nell’intervallo un salto da lui per dirgli facendo finta di niente: “guarda Zacco che c’è un posto libero accanto a me”, e lui che mi risponde “lascia stare papà, resto qui con Giorgia”. E poi venti secondi prima che ricominci la partita me lo vedo arrivare, scomposto e confuso come è sempre, che ci ha ripensato e che vuole stare vicino a me. Ma il posto nel frattempo se lo è preso un signore che anche lui aveva il suo un po’ distante dalla sua famiglia e che però, anche lui padre, una volta visto i miei occhi supplichevoli ha detto: “va bene, io in fondo sono più vicino ai miei di lei, preferisco che siate voi a stare vicini”. E ho pensato che certe volte il mondo funziona per come dovrebbe, e ho messo da parte ogni grasso di cottura, e abbiamo esultato assieme per il 3 a 1 e per il 4 a 1 e poi ancora per il 5 a 1 e avrei voluto che il Napoli non finisse mai di segnare, non che me ne freghi niente del calcio, ma per unire alla sua la mia voce, per sentirmi uno con lui anche in una situazione così insulsa, per prolungare ancora per un po’ questa “nostra infanzia” che è dono della divinità e dell’umana perseveranza. Lo vedevo accanto a me così grande ed io mi sentivo così piccolo, così piccolo e così fragile ma al tempo stesso così felice.
Dicevo che la felicità è un territorio impervio ed io ieri sera lo ho attraversato, lo ho percorso in tutte le direzioni, accanto all’uomo della mia vita senza sapere se quella vita ci darà ancora la possibilità di affrontare altri cimenti simili in futuro.
E per quanto, come ho già scritto diverse volte, a me del calcio non me ne freghi niente, vuoi mettere la soddisfazione di vedere quegli stronzi della Juventus perdere 5 a 1!?!?