Una memoria condivisa

Una memoria condivisa

Finalmente a sera tutti riuniti attorno alla tavola. E’ il momento che aspetto per tutta la giornata. I bambini, Vera, il cibo. Il momento della condivisione, per nulla scontato in questo tempo, per nulla scontata in questo tempo. Il momento di recuperare i fatti del giorno, un’attenta selezione che tenga fuori quelli tossici e che proponga solo quelli felici, buffi, importanti. Un momento fatto soprattutto per ridere e allora per questo non esiste migliore fonte dei discorsi fatti con il Piccolo andando la mattina a scuola.

“Sapete di cosa abbiamo parlato oggi io e Cesare andando a scuola? Abbiamo parlato delle lettere in corsivo. Chi indovina quale è la particolarità delle lettere in corsivo?”

Difficilissimo che il Piccolo non “spoileri” l’ardito indovinello. E’ un continuo fare segni affinché non lo dica e lasci ai due poco entusiasti interrogati tempo per rispondere. Ma la risposta non arriva e allora il Piccolo ha diritto al suo momento di gloria anche perché la mattina era stato lui a farmi notare il particolare: “le lettere in corsivo per essere lettere in corsivo devono avere un attacchino dietro per attaccarsi alla lettera di prima e un attacchino dopo per attaccarsi alla lettera che viene dopo”. L’informazione riscalda la discussione e allora mi sento di proporre la seconda questione trattata nel percorso scuola-casa: le tabelle che da sempre impreziosiscono le pareti delle nostre scuole elementari, quelle con le lettere e un animale o un oggetto il cui nome inizia con quella lettera.

Dentro di me presagisco con disagio che mi sto infilando in una palude generazionale, nonostante tutto mi offro al cimento.

“Ve le ricordate ragazzi?”. Mi guardano con l’aria un po’ afflitta di chi al meglio di una materna pizzata è costretto a recuperare, ognuno dalla sua distanza temporale, un ricordo da tempo messo da parte.

“Ve la ricordate la A? Che disegno c’era?”. “Un’arancia?” dice Zaccheo. Sento che la mia premonizione sta per avverarsi, sono destinato a snocciolare un alfabeto di lettere ed immagini che probabilmente appartiene solo a me. “Come un’arancia?!?! C’era l’ape!” annuiscono poco convinti. “E con la B c’era la barca, e con la C la casa!”. Per evitare una giaculatoria solitaria mi propongo un ultimo tentativo: “E con la D?”. Da destra arriva inattesa la voce di Veronica che (ce lo diremo poco dopo) è comunque distante da me una generazione. “Con la D c’era la figura del dado”. La speranza che rinasce dentro di me mi induce ad andare avanti. “Con la E?”, “l’elefante!” dice Cesare. “Con la F mi sembra la farfalla” dico io. “Con la G c’era il gatto aggiunge ancora Veronica”.”No, c’era la giraffa” dice Zaccheo, e forse ha ragione lui. “Per l’H c’era invece hotel” interviene nuovamente Zaccheo.. “Ed era l’unica concessione esterofila dei miei tempi” aggiungo io aprendo inevitabilmente e brevemente (il brevemente è dovuto alle mie paterne rimostranze) una discussione inerente la mia età avanzata. I con imbuto, L ci costringe ad una pausa fino a quando non recuperiamo dalla nostra memoria lo spicchio di luna che occhieggiava da uno di quei cartelli, e poi M, N, O, P, Q, R, S, T, U, V, fino alla Z che era compagna inseparabile della Zebra. Ognuno una, ognuno a recuperare dal proprio archivio che una volta tanto non è archivio specifico di una delle tre generazioni presenti a tavola, ma è archivio condiviso, piccolo e caldo patrimonio di tutti. Per qualche minuto ci siamo riscaldati tutti assieme alla fiamma di quell’eredità condivisa, come si faceva un tempo, quando le persone davanti al camino condividevano con tutta la famiglia racconti che erano di tutti e che tutti conoscevano bene. Una memoria comune che ancora una volta conserviamo intatta senza nemmeno rendercene conto e che è dono, assieme a tanti altri, che ci sono stati fatti e che continuano ad essere offerti ai miei figli ogni giorno, dalla scuola del nostro paese.

Il senso di Cesare per il tempo

Il senso di Cesare per il tempo

La vita è un crocevia telefonico. Mia moglie chiama me e mi dice: “chiama il Piccolo che è da mia madre e convincilo a fare un po’ di compiti”. Chiamo mia suocera ma è occupato. Chiamo il Grande: “Zac passami Cesare che devo dirgli una cosa…papà che c’è?” dice il Piccolo. “Cecio devi fare un po’ di compiti”. A quel punto la parola che in quanto ad uso a casa mia surclassa anche la frequenza del verbo “fare” nella lingua italiana: “DOPO papà”. Tento allora uno stratagemma pedagogico aritmetico: “Senti Cesare…io fra tre ore ti vengo a prendere…entro tre ore, non mi interessa quando, tu dovrai avere fatto i compiti…se appena vengo scopro che non è così sono guai”. “Va bene papà”, dice lui, e poi dimentica di staccare la comunicazione e sento che dice al fratello: “Zac metti un timer che suona fra due ore e mezzo così nell’ultima mezz’ora mi faccio i compiti”. Uno dei segreti della vita è avere un corretto senso del tempo.

Verso l’infinito e oltre

Verso l’infinito e oltre

Mattina di fuoco tipica da genitori/lavoratori in tempo di pandemia. Il grande per il terzo giorno di lezioni a distanza è per fortuna a casa, il piccolo invece deve essere portato a scuola entro un tempo decente per lui e per il mio arrivo in ufficio. Davanti la solita sfilza di incombenze, la stessa che ti si para davanti ogni mattina quando apri il primo occhio e ti dici (come direbbe una mia cara amica) “un ma siento”. Mentre sfreccio a destra e sinistra percorrendo ogni possibile diagonale che connette la casa con il giardino, mi accorgo che Cesare è ancora in mutande, immobile davanti ad una TV inopinatamente accesa ed evidentemete e strumentalmente impegnato nello sbottonamento del colletto della polo che avrebbe giù dovuto indossare almeno 7 minuti fa. Nel tentativo di mitigare la partenza dell’embolo provo a rivolgermi a lui con la giusta dose di ironia: “Cesare quante ore pensi che ci vogliano per sbottonare quel colletto?”. Lui resta con lo sguardo fisso sullo schermo e con voce piatta e priva di ogni emozione mi dice: “Papà io non riesco a sbottonarlo e quindi (cito testuale n.d.r.) l’attività che sto facendo potrebbe durare teoricamente all’infinito”. Ciò che meriterebbe un significativo approfondimento, un plauso genitoriale che riconosca il valore dei termini usati e del pensiero prodotto, finisce per essere mortificato dala quotidiana pena e a me non resta che dire: “Cesare vedi di camminare e dammi questa maglietta che se no a scuola ti ci porto in mutande”. Alla fine aveva ragione Marco Messeri quando ne “La messa è finita” diceva che “la vita è volgare”.

Sulle scale di scuola

Sulle scale di scuola

Domani è il giorno. Come sempre li lascerò all’inizio della rampa di scale che immette nell’edificio scolastico ed andrò via.
Ho tenuto da parte, nel cuore e nel cervello, questa immagine per mesi. Facendo finta di niente, prendendo in giro me stesso, provando così a fermare il tempo che invece implacabile si muove.
Ma la notte appena passata è quella in cui avevo deciso di riaprire la comunicazione con quel pezzo di me che avevo isolato, in cui ho accettato di essere presente al mio piccolo appuntamento con la storia.
Ho rivisto tutti i miei primi giorni di scuola, ho rivissuto quell’emozione, la mia timidezza di bambino orso prima e di ragazzo orso dopo chiuso in un angolo nella speranza che un voce amica, sopravvissuta alla lunga estate, lo riportasse a quel mondo scolastico che era sempre e comunque una fantastica avventura.
Ho rivissuto tutti i primi giorni dei miei bambini, la gioia del reicontro, quell’incertezza sottile sulla quale prevaleva sempre la curiosità, la sensazione di una strada che per quanto difficile, per quanto faticosa, più di ogni altra rappresentava il futuro.
A tutto questo ho pensato sapendo che in questo tempo pandemico per la prima volta abitavo un confine che non era confine solo mio o solo dei mie figli, ma confine per tutti i genitori, per tutti gli insegnati e per tutti i figli del mondo.
Un confine oltre il quale, per la prima volta (almeno nella nostra vita, almeno nel nostro tempo) c’è un mondo sconosciuto, oltre il quale il rito di festa cede il passo ad uno vagamente luttuoso, oltre il quale poggeremo tutti il nostro piede quando domani li lasceremo alla base di quella scala nella speranza di rivederli apparire, sempre li, eccitati e scarmigliati, alla fine della giornata.
Eppure quale genitore, anche nell’assoluta incertezza, anche all’inizio di un tempo che si presenta incondificabile per ognuno di noi, non riserva ai suoi figli le medesime cure, le stesse attenzioni del tempo migliore?
In questa tregua che finisce noi oggi compreremo, facendone un piccolo rito di allegria, quaderni, matite, diari, svuoteremo, puliremo, e riempiremo nuovamente gli zaini, fodereremo i libri, prepareremo la merenda.
E domani, alla base di quella scala, sorrideremo come se nulla fosse, ci raccomanderemo sottovoce, agiteremo la mano in un saluto e spereremo, fino all’ultimo spereremo, anche in un bacio distratto che illumini la nostra giornata.

Metro di paragone

Metro di paragone

E’ difficile, per come va il mondo e per come funziona l’uomo, pensare che possano esistere valori assoluti, verità assolute.

Tutto sembra relativo, sembra che le cose vadano sempre considerate in termini di paragone, confrontate con altre cose o situazioni simili per potere fornire una misura che sia accettabile e coerente.

In questi giorni mi torna in mente una storia vissuta diversi anni fa in Tanzania durante le mie attività di cooperazione. Continua a leggere “Metro di paragone”

La rivoluzione non si improvvisa

La rivoluzione non si improvvisa

Quando certe cose tornano, dopo quasi 50 anni, forse vale la pena scriverle e condividerle.

Figlio di insegnanti considero la scuola pubblica uno dei miei valori non negoziabili.

Figlio di insegnanti e frequentatore di tutte le scuole più improbabili della già improbabile città di Palermo (scuole nelle quali più che lo spirito di adattamento era necessario lo spirito di sopravvivenza) ho imparato negli anni a riconoscere ed apprezzare tutti gli aspetti positivi della scuola pubblica, ma allo stesso tempo ad enfatizzarne quelli negativi. Continua a leggere “La rivoluzione non si improvvisa”

Un grazie grande come una galassia

Un grazie grande come una galassia

Per sognare i marziani, ovunque essi siano, occorre prima di tutto una galassia dove andarli a cercare.

Per sognare i marziani, ovunque essi siano, ci vuole una galassia grande e splendente perchè si sa che quelli sono pochi e dentro una galassia, se sei fortunato, ne troverai tre o quattro al massimo. Continua a leggere “Un grazie grande come una galassia”