Cesare frequenta la terza elementare. Cesare frequenta la terza elementare all’Istituto Valdese di Palermo. Da quando è cominciata questa storia della pandemia abbiamo prima attraversato il periodo della didattica a distanza e, una volta passata l’estate, siamo entrati in una nuova fase. La scuola ha infatti deciso che per le attività in presenza, a garanzia dei bambini e delle famiglie, la sua classe dovesse essere divisa in due sotto gruppi, ognuno composto da dieci bambini, che stanno naturalmente in stanze diverse e che non si incontrano mai.
Credo che questo lavoro di “divisione” in due della classe debba essere stato un processo molto sofferto e al tempo stesso molto accurato per le bravissime maestre di mio figlio.
Chi mai, d’altra parte, può mettere ordine nelle complesse relazioni umane senza il rischio di perdere pezzi, di produrre fratture dolorose ed insanabili, di infrangere legami che la vita e la quotidiana frequentazione avevano suggellato? E quindi quello che non è stato possibile evitare in “fase divisoria” si è provato a mitigarlo dopo, quando oramai la divisione era un fatto compiuto.
I due gruppi, da quando non sono più un’unica classe, con cadenza regolare, si scrivono quelle che io chiamo, sempre grato a Primo Levi per avermi fatto conoscere questa bellissima poesia di Rilke, le “lunghe lettere da lontano”. Ognuno sceglie uno dei compagni dell’altro gruppo al quale dedicare ed inviare la sua lettera. Ieri è stato giorno di corrispondenza. Leon ha scritto una lettera a Cesare. Cesare una a Matteo. Sono lettere sgrammaticate e struggenti, tanto irriverenti nei confronti della lingua italiana quanto impregnate di una nostalgia palpabile e dolorosa del tempo in cui giocavano assieme, si prendevano allegramente a legnate in giardino, scambiavano parolacce e sformati durante i pranzi in mensa. La lettera a Cesare e stracolma di “spero”. Spero di venire presto a casa tua, spero che ricominceremo a giocare con le carte Pokemon, spero che trascorrerai un buon Natale. Un inno alla speranza di un bambino per cui la speranza dovrebbe essere solo uno strumento buono per domani e che invece maneggia già da mesi con abilità infantile. Quella da Cesare è piena di ricordi. Ti ricordi quando non sei venuto a casa mia, ti ricordi quando ci sedevamo accanto a mensa. Ti ricordi. Un crogiolo di ricordi nel quale si fondono nostalgie acerbe che rischiano di maturare troppo presto.
Vorrei sapere chi è la postina che ogni volta si fa carico di recapitare questa corrispondenza pesante e palpitante. Vorrei sapere se qualcuno alla fine raccoglierà tutte queste lunghe e brevi lettere da lontano per farne l’epistolario di queste tempo che forse da solo, potrà restituirci l’immagine di questa storia altrimenti impervia ed ineffabile.
“Cesare ti mancano Leon e Matteo?”. Che domande stupide che fanno certe volte i padri. Cesare si volta verso la stufa e non risponde.
Domani la postina misteriosa tornerà a congiungere ancora i due gruppi con le sue missive. Tesserà la sua rete di messaggi a ricucire lo strappo fra due gruppi che appartengono ad un’unica entità ma abitano due luoghi differenti, a colmare una distanza apparentemente incolmabile, distanza di non più di qualche metro che costituisce però un baratro, una voragine, fra coloro che sono stati “sempre assieme”.
Perché Roberto Vecchioni non sbaglia quando canta a sua figlia: “ “Lontano” mi chiedi “ma dov’è questo lontano?”, lontano è un paese che non ti do la mano, com’è lontano questo lontano…”.