In una casa dove i riti sono fondamentali ce ne è uno che per noi è il rito dei riti: “8 dicembre – fare il Presepe”. Il rito presuppone una sequenza precisa di azioni e parole alle quali non si può derogare, che devono per forza essere agite e dette in quel preciso ordine. D’altra parte ogni hanno il rito si arricchisce di nuove azioni e di nuove parole invariabilmente frutto di alcune variabili impazzite che quasi come i riti sono elementi strutturali della mia famiglia. Una di queste è certamente l’ateismo praticante e primigenio del Piccolo. E quindi fra le azioni e le parole oramai stabilizzatesi dentro il rito certamente quelle che riguardano l’esistenza di due personaggi identici (frutto di qualche svista di mia madre) che io spaccio per “i gemelli che entrano dentro la locanda” e che i miei derubricando a semplici doppioni. L’eterna questione riguardante la collocazione del “pastore brutto e di plastica” che comincia sempre con una posizione intransigente di tutti (“quest’anno non lo mettiamo… è troppo brutto”) che si smorza poi, nell’atmosfera natalizia, in una pacata compassione che ci convince, non sia mai che anche il presepe smetta di essere inclusivo, ad inserirlo magari in posizione defilata e poco visibile. Poi ci sono, appunto, le novità dell’anno che per lo più sono figlie del Piccolo deicida, cose del tipo: gara a chi trova per primo la statuina di Maria. Quasi alla fine dello spacchettamento il Grande la trova, il Piccolo tenta di recuperare qualche punto dicendo “io però avevo trovato prima quello…come si chiama…il marito insomma”. Oppure quando il Grande propone per quest’anno un presepe “destrutturato”, per esempio con Gesù che gattona nella piazza del paesino con tanto di ciuccio e pannolino, il Piccolo con greve metafora “marvelliana” dice “si così lo chiamano l’amichevole Gesù di quartiere”. In ogni caso però, ogni anno da quando vivo in questa vita in cui io sono il padre e non più il figlio, il rito si conclude sempre nella stessa maniera: inserito l’ultimo ciuffo di muschio, l’ultima pecorella, io faccio tre passi indietro e dico: “bello come quest’anno mai!”. I due mi guardano e sempre, da quando esistono e parlano, dicono: “papà ma che dici!?!? Ma se è uguale a quello dell’anno scorso!!!”.
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Il senso del presepe
Il senso del presepe si coglie più nel disfarlo che nel comporlo. Mentre lo fai tutto ti sembra incongruo, un assemblaggio improprio attuato a partire da pezzi che non appartengono allo stesso disegno, allo stesso progetto. Metti tutto assieme nel tentativo di creare un paesaggio, di trasformare quello che fino a poco fa erano elementi disomogenei in una storia.
Alla fine, come ogni volta e rispettando quello che è rito nel rito, dirai che bello come quest’anno non è venuto mai, ma dentro lo senti che solo l’erba e il muschio disposti strategicamente coprono i buchi di qualche cosa che non è struttura ma semmai racconto stentato. Poi passano i giorni, il presepe diventa prima di tutto elemento componente la casa. Smette quasi subito di essere corpo estraneo e si annida in un angolo dal quale comincia a produrre i suoi effetti. Le luci accese di sera, Gesù e i Re Magi a tempo debito, lo sguardo, tuo e dei bambini, che indugia su quello che non è già più il pezzo o il personaggio ma che ha cominciato a configurarsi come una scena: il pescatore che cala la sua lenza nel laghetto, la signora che vende le verdure e accanto a lei il venditore di angurie (che mai e poi mai si sarebbero incontrati visto che lei arriva in tempi recenti da un negozietto di Spaccanapoli e l’origine di lui si perde invece nella notte dei tempi), i gemelli (frutto di un secondo acquisto incauto di mia madre che aveva dimenticato di avere già comprato il primo) che appaiati entrano nell’osteria.
E poi viene il momento di smontarlo ed è allora che ti accorgi che qualche cosa è cambiato, che si è verificata una sorta di magia e che ciò che prima ti era sembrato incoerente adesso è racconto, è villaggio, è indirizzo al quale è possibile inviare una lettera, al quale rivolgere un pensiero.
Mentre lo disfi ti accorgi che le case si sono fuse con le rocce di sughero, il pastore è coerente al proprio gregge, la natività emana un significato che pervade e unifica il racconto. I pezzi hanno trovato la loro conformità ad un disegno, il disegno si è elevato a progetto, il progetto ha modellato la realtà, la realtà si è fatta narrazione. E mentre riavvolgi ad una ad una le statuine nella carta di giornali vecchi di cinquanta, trenta, dieci anni ti chiedi se quella che racconterai è una strana storia sul presepe oppure una metafora della tua vita.
Il richiamo
Forse ti lasciano andare se prometti di tornare. Forse è il patto che hai fatto 45 anni fa, il beneficio che ti hanno concesso per quella partenza troppo precoce. Forse ti muovi quando senti l’odore del muschio e del sughero antichi che si sprigiona dalla valigia che conteneva il tuo piumone in raso, corredo di giovane sposa. Forse è il tintinnio delle palline di vetro colorato, la bellezza delle quali i miei non riescono a comprendere e che si stanno estinguendo, due in frantumi ad ogni anno che passa. Continua a leggere “Il richiamo”
L’ultimo selfie
Ieri abbiamo smontato il presepe. Mentre lo facevo pensavo che farlo è quasi bello quanto montarlo.
Ho pensato al domino famigliare che ne viene fuori quando tento di mettere vicini, nella grande valigia che lo contiene, i personaggi che vicini devono stare durante il lungo letargo che li aspetta (la sacra famiglia, i Re Magi, i gemelli della locanda…). Continua a leggere “L’ultimo selfie”
L’addormentato del presepe
Chi mi conosce sa della mia grande passione per il Presepe.
E’ il mio rito famigliare per eccellenza che mi accompagna da quando sono nato.
Amo tutto quello che lo riguarda. I preparativi, gli acquisti anticipati, il progetto dell’anno, i personaggi e gli accessori che lo compongono.
Eppure fra i personaggi ce ne è uno che non mi piace per nulla e che, infatti, non è presente nel mio presepe. Continua a leggere “L’addormentato del presepe”
Bambini di buona volontà
Anche quest’anno il presepe. Il mio cinquatraquattresimo. Anche quest’anno aggiungiamo un nuovo pezzo: la signora che “cala il panaro”, direttamente da Spaccanapoli.
E poi la novità del micropresepe dei Piccoli. Fatto da entrambi e da entrambi cistodito nella loro camera. Continua a leggere “Bambini di buona volontà”
Bisogna mettere in fila le cose
Bisogna mettere in fila le cose.
Prendere la paletta nel capanno perché per il rito serve.
Prendere il pane di segale che non è lievitato e per il rito serve.
Allo spumante ci pensa Mari.
Non dobbiamo dimenticare i bicchieri.
Pacha Mama, tutti assieme da Anna e Dionisio. Continua a leggere “Bisogna mettere in fila le cose”
Abbiamo presepiato
Il rito è compiuto. Abbiamo presepiato.
I bambini praticamente non si staccano più dal presepe. Lo guardano da tutti i lati. Il Piccolo tenta di inserire personaggi alieni provandoci a convincere della bontà della sua scelta. Il Grande continua a ripetere: “è bello..quest’anno è venuto proprio bene”. Continua a leggere “Abbiamo presepiato”
Noi presepiamo
Domani faremo il presepe.
E alla vigilia come sempre mi chiedo come sia possibile che in un paese eternamente diviso fra l’uso del “si” e del “no”, sempre in bilico su una forbice linguistica che va da “petaloso” fino a “Lato B”, nessuno si sia preso la briga di inventare un verbo che sostituisca, almeno in questo caso, l’orribile e abusato verbo “fare”. Continua a leggere “Noi presepiamo”
Pastorale famigliare
E’ il primo disegno che fanno assieme. La prima attività veramente corale fatta dai due da quanto il piccolo è arrivato a “rovinare la vita” (la citazione è testuale) al grande.
Il grande ha fatto il disegno e poi ha dato indicazione al piccolo su quali colori usare. Il piccolo, con la precisione che è sua quando decide di tirarla fuori dal suo repertorio ampio ma poco sfruttato, ha completato l’opera. Continua a leggere “Pastorale famigliare”