Domani è il giorno. Come sempre li lascerò all’inizio della rampa di scale che immette nell’edificio scolastico ed andrò via.
Ho tenuto da parte, nel cuore e nel cervello, questa immagine per mesi. Facendo finta di niente, prendendo in giro me stesso, provando così a fermare il tempo che invece implacabile si muove.
Ma la notte appena passata è quella in cui avevo deciso di riaprire la comunicazione con quel pezzo di me che avevo isolato, in cui ho accettato di essere presente al mio piccolo appuntamento con la storia.
Ho rivisto tutti i miei primi giorni di scuola, ho rivissuto quell’emozione, la mia timidezza di bambino orso prima e di ragazzo orso dopo chiuso in un angolo nella speranza che un voce amica, sopravvissuta alla lunga estate, lo riportasse a quel mondo scolastico che era sempre e comunque una fantastica avventura.
Ho rivissuto tutti i primi giorni dei miei bambini, la gioia del reicontro, quell’incertezza sottile sulla quale prevaleva sempre la curiosità, la sensazione di una strada che per quanto difficile, per quanto faticosa, più di ogni altra rappresentava il futuro.
A tutto questo ho pensato sapendo che in questo tempo pandemico per la prima volta abitavo un confine che non era confine solo mio o solo dei mie figli, ma confine per tutti i genitori, per tutti gli insegnati e per tutti i figli del mondo.
Un confine oltre il quale, per la prima volta (almeno nella nostra vita, almeno nel nostro tempo) c’è un mondo sconosciuto, oltre il quale il rito di festa cede il passo ad uno vagamente luttuoso, oltre il quale poggeremo tutti il nostro piede quando domani li lasceremo alla base di quella scala nella speranza di rivederli apparire, sempre li, eccitati e scarmigliati, alla fine della giornata.
Eppure quale genitore, anche nell’assoluta incertezza, anche all’inizio di un tempo che si presenta incondificabile per ognuno di noi, non riserva ai suoi figli le medesime cure, le stesse attenzioni del tempo migliore?
In questa tregua che finisce noi oggi compreremo, facendone un piccolo rito di allegria, quaderni, matite, diari, svuoteremo, puliremo, e riempiremo nuovamente gli zaini, fodereremo i libri, prepareremo la merenda.
E domani, alla base di quella scala, sorrideremo come se nulla fosse, ci raccomanderemo sottovoce, agiteremo la mano in un saluto e spereremo, fino all’ultimo spereremo, anche in un bacio distratto che illumini la nostra giornata.
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Attacco e difesa
Cuccioli maschi che ruzzano sui divani della casa o sul prato. E’ questa l’immagine che ho di loro due negli ultimi mesi. Quasi quattordicenne e di dimensioni spropositate il Grande, otto anni appena compiuti ed esiguo da fare pena il Piccolo, nel tempo in cui sarebbe stato ragionevole pensare che avrebbero perso contatto hanno invece sviluppato, fra quarantena e un’estate anomala, una relazione intima e profonda che quando non li vede impegnati ad ammazzarsi a legnate ce li offre alla vista distesi da qualche parte, l’uno all’altro avvinghiato, immersi in discorsi la cui comprensione è a noi adulti preclusa.
Portare “fuori” i bambini
Se alla domanda tanto ripetuta in questi giorni “i bambini possono uscire?” fossero sottese altre domande tipo: “posso portare il bambino al parco? Posso portare il bambino a fare una passeggiata in natura?” io credo che staremo parlando di luoghi e situazioni nei quali il famigerato “distanziamento sociale” è nelle cose e quindi la risposta inevitabilmente potrebbe anche essere “si”. Continua a leggere “Portare “fuori” i bambini”
Più resilienti dei ratti
Figlio della mia formazione ambientale ed ecologica ho pensato per lungo tempo che il concetto di resilienza fosse un concetto esclusivamente positivo. L’idea che le comunità naturali, gli habitat, le specie, potessero reagire alle avversità recuperando, in tempi ragionevoli, salute ed equilibrio mi è sempre sembrata la via che Gaia ci indicava per dirci “ecco come si fa…imparate da me e nulla potrà farvi del male in maniera irreparabile”.