Le cose ti tornano in mente per vie misteriose: un odore, il sapore di un dolcetto francese, alcune parole scambiate con l’osteopata, il rumore della pioggia che ti ha accompagnato tutta la notte e che ancora ti porti dentro. E oggi recupero un ricordo, uno di quelli che ogni volta che torna mi fa dire: “è uno di quei ricordi che resteranno con me fino a quando vivo”. E poi, finito di dirlo, finito di ricordarlo, anche lui torna in quel luogo di nessuno (neanche mio che lo porto dentro) dal quale non sai mai se riuscirai a recuperarlo nuovamente. L’oblio d’altra parte a questo punto è un rischio concreto visto che è un ricordo risalente a trentacinque anni fa.
Ero in Malesia durante la mia mitica Operation Raleigh, una spedizione scientifica internazionale che coinvolgeva giovani di tutto il mondo in spedizioni sparpagliate per tutto il mondo. Ero nella seconda fase della spedizione, isola deserta nel mare al sud della Cina, nome dell’isola: Pulau Tinggi, ricerca subacquea per conto del governo malese che in quella zona di barriere coralline voleva creare (cosa che poi fece) un’area protetta. Due immersioni al giorno, qualunque fosse il tempo, fuori e dentro il reef, innumerevoli transetti sulla barriera. Per le 17 però tutti dentro perché verso quell’ora si scatenava sempre una specie di piccola tempesta che da lì a pochi minuti ci avrebbe restituito ad un cielo limpido e stellato.
Poi un giorno usciamo un po’ più tardi nel pomeriggio, forse qualche inconveniente, un contrattempo tecnico. In programma un’immersione profonda: – 55 metri. Ci caliamo che già all’orizzonte si vedono i soliti nuvoloni color pece. Facciamo la nostra immersione, cominciamo la risalita, a tre metri dalla superfice ultima sosta di decompressione. E a quel punto, dopo essermi stabilizzato con il gav per potere stare fermo per qualche secondo a quella profondità, alzo gli occhi verso l’alto. E fuori ha cominciato a piovere. Ed io improvvisamente sento, con una forza con la quale non lo avevo mai sentito prima, di abitare un universo parallelo. La mia superficie non è quella sulla quale impattano le gocce di pioggia, è quella opposta, quella nella quale le gocce penetrano per un brevissimo tratto e poi ribalzano nuovamente all’esterno, in quell’altro mondo. Sono dentro “Alice allo specchio”, sono in una di quelle misteriose ed inquietanti opere di Escher nelle quali non sai più chi sei tu, se sei il pesce sotto la superficie, se quella è superficie, dove finisce il cielo e comincia il mare, se sei osservatore od osservato. Ma più di tutti, più di ogni altra cosa io allora (e per quei pochi metri che mi separavano da quel confine) sono stato felice, ho sentito che il Pianeta mi parlava con una lingua mai sentita prima, ho partecipato di una meraviglia che ti cambia per sempre. Ecco, questo “è uno di quei ricordi che resteranno con me fino a quando vivo”.