E alla fine valicammo l’ultima portella e fummo in vista dei Laghi di Pilato. L’ascesa era stata lunga e faticosa. Reduci da cinque giorni di trekking, quest’ultima salita richiese risorse ed energie che forse avevamo speso in precedenza ed altrove. Ma la Sibilla accordò il permesso e noi entrammo nella conca dove giacciono i due laghi trasparenti. Eravamo partiti tardi e tardi arrivammo.
Già il sole tramontava e breve fu la gioia della conquista, breve il riposo, ché già altre cure ci assillavano, altri bisogni richiedevano la nostra attenzione. Preparare il bivacco, provvedere alla cena, procurarsi un po’ di fuoco ché a quelle quote anche d’estate fa freddo.
Ci rendemmo subito conto che per le prime due cose, per quanto il tempo fosse poco, portavamo con noi tutto ciò che ci serviva a soddisfare i nostri bisogni. Ma non così per la terza. La notte che oramai incombeva, l’avere superato da chilometri e da tempo la quota della vegetazione, il non avere provveduto lungo il cammino a raccogliere un po’ di legna, ci mise nella condizione di avere un bisogno significativo e non avere al tempo stesso gli strumenti per soddisfarlo.
Poi improvvisamente, quando anche l’ultima luce del giorno stava spegnendosi, qualcuno di noi si accorse che tutto attorno era cosparso dai bastoni più o meno improvvisati che gli escursionisti giunti fin li nel tempo avevano abbandonato una volta completata l’ascesa. Punteggiavano le rocce bianche, abbandonati una volta in un anfratto un’altra appoggiati ad una cengia. Li raccogliemmo in fretta ed in poco tempo accanto al nostro bivacco c’era un bel mucchio di questa legna imprevista ed eterogenea, di questo combustibile improprio e chissà quanto esotico che per quella notte illuminò il nostro campo e riscaldò le nostre membra.
Allora noi lo interpretammo come una specie di tributo che ogni escursionista che ci aveva preceduto nel tempo aveva voluto, in maniera inconsapevole, dare al nostro fuoco di quella notte, un piccolo, singolare, impersonale, dono che veniva da lontano e che noi consumammo, senza troppo rifletterci, in una notte sola. Quando poi nel tempo sarei tornato al ricordo di quella notte pensai che forse, invece, avevamo commesso una specie di sacrilegio, un offesa grossolana e ingorda nei confronti delle tante storie che ognuno di questi bastoni raccontava e che noi non ci eravamo preoccupati di trovare e di ascoltare. Ma quella notte trascorse tiepida e riposante e allora quello ci bastò.
Questo ricordo torna stamattina, preso dalle mie tante canzoni, dalle mie tante poesie, dalle mie tante storie, accumulate in una vita, reduci di altrettanti cammini a volte impervi, altre volte consumati sotto un sole generoso.
E dentro sento, senza paura sento, senza offesa sento, senza privazione sento, che quella sera facemmo bene, perché è così che funziona la vita, generosa fino quasi ad essere sprecona, madre dello sperma, del polline e degli ovuli, molto più dissipativa che conservativa nel suo disperato bisogno di risalire ogni volta la china e, a conti fatti e prima di tutto, di “sopravvivere”.
Per questo non so davvero cosa sarà di tutti questi “bastoni” che ho portato fino a qui sopra, ma davvero sarei felice se domani qualcuno, al bisogno, volesse adoperarli tutti e in un sol colpo anche e soltanto per scaldarsi un po’ le mani.