Sei uno dei miracoli della mia vita. Un miracolo piccolo, niente di eclatante, niente di trascendentale. Proprio come dovrebbero essere i miracoli, proprio come sono i miracoli di cui le nostre vite sono piene, e dei quali, spesso, finiamo per non accorgerci.
Ma come tutti i miracoli sei una storia complessa, una storia che parte da lontano, ché nessuno creda che l’emorroissa guarisce proprio in quel momento in cui tocca il Cristo, quando invece la sua guarigione viene da lontano, dal tempo in cui matura la sua capacità di credere nel potere che hanno gli altri di restituirci a noi stessi. E anche questo è appunto “piccolo miracoli complesso”, cominciato trenta anni fa su un sentiero pietroso di Pantelleria. Un giorno in cui stavo andando in un posto segreto e mi sono calato a raccogliere ghiande enormi sotto la chioma di un leccio. Ed una di quelle ghiande ho posta in una vaso, quando ancora non avevo un giardino, e in quel vaso è germogliata e ha posto in essere (che non è solo gergo burocratico) il suo progetto di diventare albero. E qualche anno dopo è venuto il giardino, proprio nel tempo in cui arrivava il primo bambino, ed è bellissimo che giardino e bambino facciano rima, e nel giardino il piccolo leccio è stato posto a dimora (che non è solo gergo agronomico). Quel leccio adesso è enorme. Il mio vicino vaccaro che si chiama “Signor Angelo”, e la cui saggezza agreste tengo particolarmente da conto, ha detto una volta “quest’albero si prenderà tutta la casa”, lui non sa che io per quel momento vivo. E negli ultimi anni sei arrivata tu: lampo azzurro di remiganti a impavesate il mattino, fulmine crestato che lascia sempre il dubbio di averti realmente scorta o che tu fossi solo un’illusione ottica. Da quando il leccio a sua volta si è intestato un progetto riproduttivo, con le ghiande sono arrivate, neanche a dirlo, anche le ghiandaie. Non fosse che il mio leccio ha una collocazione impropria, cresce a pochi passi dal mare, lontanissimo da altri suoi simili, dove, a ragione, abitano le ghiandaie. Eppure almeno una di queste ghiandaie arriva ogni anno da “non sappiamo dove”, un “non sappiamo dove” che però deve essere un luogo lontano, e con la sua voce insolente e gracchiante pretende da patrona la propria mercede, rimproverandoci quasi la nostra umana presenza che per storia naturale e diritto di nicchia ecologica invece appartiene solo a lei. Nelle mattine frettolose d’autunno, quando le ghiande sono mature e la ghiandaia viene a riscuotere il proprio tributo, noi non riusciamo mai ad “avere il tempo di scorgerla”. Sentiamo il gracchiare irritato e da ciò deduciamo la sua presenza. Poi le lasciamo campo libero e torniamo a sera quando già da tempo il suo andirivieni si è compiuto.
Né lei né io avevamo previsto però la mia permanenza forzata a casa per giorni. E adesso, durante queste mattine, io ho il miracolo davanti agli occhi e da esso non riesco a staccarmi. Ti osservo, protetto dalla prospettiva di un muro e di un vetro, e tu arrivi (o forse siete voi, ma si sa noi uomini siamo incapaci di distinguere a volte persino i nostri simili, figuriamoci le ghiandaie) e prima lanci il tuo grido, tanto per capire se c’è qualcuno nelle vicinanze, poi ti posi su un ramo ed estrai dal cappello il seme, che quest’anno come in quel tempo lontano, è grandissimo, e fai un breve volo fino ai cavi della luce. Lì ti fermi un attimo come a scegliere la direzione verso la quale muoverti alla ricerca di un nuovo nascondiglio dove sotterrare il tuo bottino, che se sarà figlio di quei cinque punti percentuali della tua smemoratezza, potrà aspirare a diventare un nuovo leccio. Ed io, scomodo in cima alle scale, non smetterei mai di guardarti. Ed io, scomodo in questo tempo, penso che per ricevere e cogliere il miracolo nella sua interezza, sia necessario coltivarlo, dentro e fuori di noi.
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Non è mia la mia casa
Non è mia la mia casa.
È delle formiche che le sue mura abitano e l’attraversano in tutte le direzioni.
È dei ragni che amano le sue geometrie e ne magnificano gli angoli con trine di seta.
È della ghiandaia che ad ogni autunno torna a pretendere con fare impertinente il suo tributo di frutti.
È del gheppio che ad ogni ora incrocia su di essa il suo sguardo e la sgrida con voce querula perché troppo raramente gli regala un grillo o una crocidura.
Non è mia la mia casa perché essa è solo un accidente sulla faccia del Pianeta, rifugio di formiche, angoli per i ragni, dispensa per le ghiandaie, scenario per i gheppi. Domani coperta di edere, le pietre ad erodere, di glicini, le finestre ad aprire.
La lista
Quattro aironi cenerini nel bosco dei cento acri che si sono alzati in volo appena ci hanno sentito arrivare.
Un upupa, subito dopo, che mai da queste parti ne avevo visto uno.
Una ghiandaia fra le foglie nuove del pioppo che ci ha guardati per un lungo momento prima di tornare nel luogo suo in una breve fiammata di remiganti azzurre.
Un volo pomeridiano di gruccioni che sembrava non finire piu ed una meraviglia di colori e canti anche se lo sapevo che erano lì per mangiarsi le mie api.
Il Piccolo che scopre da solo e da solo identifica una piantina di menta d’acqua cresciuta, non si sa come, sul nostro prato.
Questa è una breve lista di miracoli a metà della primavera del 2021.
Il triangolo
C’è una ghiandaia che arriva qui sulla costa da chissà quale querceta dell’entroterra. Ha posto anni fa un’ipoteca sul leccio nato da una ghianda pantesca e che adesso trionfa e copre gran parte del patio. Ogni mattina arriva dalla sua sconosciuta abitazione per rivendicare il privilegio e controllare la sua proprietà gracchiando poche volte con la discrezione e l’autorevolezza di chi vanta un diritto che nessuno può mettere in discussione. Aspetta il tempo in cui le ghiande saranno mature e dopo pianterà boschi. Continua a leggere “Il triangolo”
Bambini, alberi e ghiandaie
Al fuoco non succede nulla.
Non state a raccontarmi di cenere, di rinascita, di arabe fenici che non frequentano questi cieli, attraversati soltanto dai grandi uccelli di metallo.
Al fuoco non succede nulla.
Tornerà ancora la pioggia a bagnare la terra stanca.
Allora Signore se morire dobbiamo che sia di pioggia e non di fuoco. Continua a leggere “Bambini, alberi e ghiandaie”
Preparare il cambiamento
Chi pensa che il cambiamento sia qualche cosa che avviene improvvisamente si sbaglia. Il cambiamento invece va preparato con attenzione e senza lesinare tempo. Magari nel quotidiano, magari nelle cose che faremmo comunque ogni giorno, va inserita una potenzialità, va dato spazio ad un germe che prepari il terreno al cambiamento, che apra il solco alla rivoluzione.
Il posto in cui vivo è pieno di vita, soprattutto di uccelli. Una parte di essa è autoctona. Appartiene a quel posto da quando quel posto assomiglia a se stesso (che già di per se è una maniera per restituire una fotografia di qualche cosa che è invece in continuo mutamento). Continua a leggere “Preparare il cambiamento”