Se-dici

Al mio Adorato nel giorno del suo sedicesimo compleanno.

SE-DICI

Se dici “domani”

io fino a domani ti aspetto.

Se dici “oggi”

io già sono dove tu sei.

Se dici una stupidaggine

io rido e ti dico

che sei stupido.

Se dici una cosa saggia

io sorrido e ti dico

“Amore Mio”.

Se dici “aspettami”

io mi fermo.

Se dici “ti aspetto”

io corro verso di te.

Se dici “spiegami”

io ti prendo la mano.

Se dici “dammi la mano”

io ti do un bacio.

Se dici “accompagnami”

io ti dico “sono qui”.

Se dici “dove sei?”

io non ti dico nulla,

giungo alle tue spalle,

di nascosto,

e grande come sei diventato

ti abbraccio forte.

Dieci anni

Dieci Anni
sono la metà di venti,
mi senti, Amore Mio,
mi senti?
Dieci anni in cui
mi hai insegnato a camminare,
a ridere
e soprattutto a guardare.
Che adesso mi chiedo:
“ma prima dei tuoi occhi
il mondo aveva guardato mai?”,
che adesso mi chiedo
se non sei tu il compimento,
che un momento prima non c’eri
e dopo si e con te l’universo,
che adesso mi chiedo
se sarei io
senza di te.

E’ tutto qui

E’ tutto qui

A Zaccheo, il Mio Adorato, nel giorno del suo quindicesimo compleanno.

È TUTTO QUI

È tutto qui Amore Mio:

tu, tuo fratello, la mamma ed io.

Tutto qui Mio Adorato,

tutto in questo tempo risicato.

È tutto qui, in questa casa,

in questo cielo terso,

in quest’angolo di universo.

È tutto qui, nelle parole che mi dici,

in questi quindici anni,

nelle tue suole di figlio,

nei miei panni di padre.

È tutto qui, per sempre mio bambino,

tu che mi accompagni verso la sera,

io che ti risveglio al mattino.

Dicono di noi

Dicono di noi

Questo post è per il mio Cesare nel giorno del suo nono compleanno.

Dicono che noi due ci somigliano.
Dicono che quando vedi le mie foto da piccolo pensi che siano tue.
A me però tu sembri molto più bello di quanto io non sia mai stato, più leggiadro, più significativo.
Dicono che il tuo sguardo assomigli al mio in certi momenti.
A me il tuo sembra molto più profondo, certamente più inquietante, infinitamente più appuntito.
Dicono che le nostre mani si assomigliano ma a me sembra che le tue siano molto più fini, più adatte al fare e a compiere gesti inusitati, più capaci di carezze delle quali io non sono mai stato capace.
Dicono che quando ti muovi e cammini mi assomigli.
Ma di sicuro con quel passo, che forse è simile al mio, andrai in luoghi e percorrerai strade che io non riesco neanche ad immaginare.
Eppure c’è qualcosa in cui veramente ci assomigliamo e di cui forse nessuno si è accorto ancora: un rispetto ed un amore assoluto per la vita.

Nella foto l’aiuola che l’altro ieri, durante il nostro campo al fiume, hai voluto creare attorno ad una piantina in un angolo non meglio definito del mondo selvaggio.

Quella pianta ti aveva colpito, come accade sempre con tutti gli esseri viventi più afflitti e sgarrupati che popolano quest’angolo dell’universo e che, in una maniera o in un’altra, entrano in relazione con te. E dopo avere fatto l’aiuola le hai dato acqua diverse volte. Senza troppa enfasi, senza retorica, riparo ed acqua perché di questo ti sembrava avesse bisogno in quel momento. E diverse volte acqua le ho dato anche io, di nascosto. Perché già pensavo, inevitabilmente pensavo, pensavo perché tu mi ci avevi fatto pensare che di li a poco saremmo andati via e chissà per quanto tempo ancora non avrebbe avuto acqua.

Il dispositivo della compassione, del quale entrambi siamo dotati, una volta che comincia a funzionare non smette più, sappilo Amore Mio.

In questi quattordici anni

In questi quattordici anni

In questi quattordici anni non c’è stato un giorno in cui io non abbia

festeggiato il tuo compleanno.

Non ci credi?

Lo sanno le stelle cadenti che ho allineato per te,

una ad una, sulla spalletta del ponte.

E lo sa la fonte più in basso

che acqua gentile per te mi ha donato.

E se ancora non mi credi

Chiedi al fiume, mio adorato, che per primo

seppe della tua nascita

e con me gioì fra vortici e correnti.

Chiedi ai sapienti alberi che ci fanno la cortesia

di abitare il nostro giardino.

Al leccio chiedi

che fu bambino un po’ prima di te

e ti vide crescere nella casa della città.

A testimoniare la mia indiscreta presenza

in ogni momento dello svolgersi della tua età

chiamo in correità ognuno di questi amici

per i quali, come per me e la mamma, tu sei il vanto.

Potranno dire di sicuro che la mia è colpa lieve,

Quella di un padre che ti ha amato tanto.

Magnifying glass

Magnifying glass

Gli inglesi, una volta tanto pià aderenti alla matrice latina di noi, la chiamano “magnifying glass”, il vetro che magnifica. Mi è sempre sembrato un nome meraviglioso così come meraviglioso mi è sempre sembrato l’oggetto in se. Un oggetto per vedere le cose più grandi di quanto non siano, capace di “magnificare” il sole e accendere, se è necessario, un fuoco. Con l’età ho cominciato ad apprezzarne anche altre virtù tese a “magnificare” ciò che la vista invece inesorabilmente riduce.

Nei giorni del mio cinquantasettesimo compleanno ho ricevuto dei regali bellissimi. Alcuni talmente intimi da non potere essere mostrati su questa vetrina. Ho ricevuto il più bello degli inviti a cena della mia vita quando il mio Grande mi ha detto “papà stasera vorrei che fossi mio ospite in panineria” e li siamo stati tutta la sera, dopo un bagno in un mare limpidissimo, io, il Piccolo e il Grande a fare infiniti indovinelli sul Signore degli Anelli.

Poi ieri pomeriggio ho ricevuto questo regalo, tanto tardivo quanto gradito, dalla mia “amata suocera”. Io lo so quanto questa definizione possa sembrare stridente ai più, ma chi mi conosce (e soprattutto chi la conosce) sa che la definizione è letterale e da quando la conosco io nutro nei confronti di questa persona una stima incrollabile e un genuino affetto filiale.

Potrei veramente oggi “magnificare” le sue doti di donna forte, coraggiosa, sempre grata anche nei momwnti difficili, dotata di uno spirito lucente che le permette di uscire apparentemente indenne da tutte le avversità. Ma anche quello è spazio intimo e inaccessibile che riservo a chi la conosce e come me non può fare a meno di apprezzarla.

Oggi mi basta concludere con le parole che Nanni Moretti fa dire a se stesso, protagonista di “La messa è finita”, durante l’omelia che chiude il film e che prelude alla sua partenza per terra di missione: “La mia vita è bella, perché sono stato molto amato. Io sono un uomo fortunato.”