Non voglio essere eroe, Signore,
né santo infuso della tua luce,
non desidero gloria ed onore,
non fare di me un indomito duce.
Non aspiro ad essere saggio,
non fra gli uomini il più amato,
e non chiedo per me l’agio
di apparir bello e ricercato.
Fa, Signore, che io sia goccia,
anzi uno sbuffo di vapore prima
che lasci il mare, lasci la roccia,
ed in alto di una nube sia la rima.
Fa che viaggi allora il tuo cielo,
minuscolo e irrilevante passeggero,
e che ad un tratto un levante di gelo
faccia pesante ciò che era leggero.
E così di ghiaccio cristallo
ad incontrare dei monti la cima
in quella danza che diventa stallo
quando il tempo l’inverno collima.
Per un poco allora esser neve
che si piace esser coltre del mondo,
grave finché non diventa lieve
nella primavera dal richiamo profondo.
E scoprire della terra i percorsi,
della matrice i capillari e le spire,
essere rivoli, gorghi, esser sorsi
e le falde colmare e riempire.
Padre liquido, Dio della pioggia
al tuo figlio in un alba splendete,
dove il salice come l’anima poggia,
concedi infine d’esser sorgente.