Sul confine

Stasera ho camminato
sul confine dell’autunno,
da un lato l’estate,
dall’altro l’inverno.
C’era odore di fumo nell’aria,
e in cielo stelle
grandi come un pugno.
Su un’orizzonte
a semicerchio aperto
cantava giugno
ancora la sua canzone,
mentre sull’arco opposto
gennaio la sua lama d’acciaio
a tramontana forgiava.
Soffiava uno scirocco incerto
ed io, nel mio deserto di certezze,
diritto negli occhi guardavo
un tempo che non so.

Settembre è

Settembre è

una storia sospesa

fra un diamante e una scoria,

fra il successo e la resa.

È un posto

lontano dal mondo,

a portata di mano

ma nel buio profondo.

È l’inverno che giunge,

è l’estate passata,

primo freddo che punge

nella notte stellata.

È un ricordo vicino,

una speranza lontana,

e nel primo mattino

il suo spago dipana

perché al figlio mai pago

di racconti e sentieri,

di carezze e di mani,

possa giungere domani

con le brezze d’autunno

una briciola appena

della gioia di ieri.

Al lampo la resa

Al lampo la resa

Ieri sera. Un’atmosfera sospesa. Una resa dei conti fra l’estate e l’autunno. Un cielo che aspetta che tutti gli eserciti siano schierati. Grosse gocce come semi di carruba che sono ancora appannaggio dell’estate. Nembi carichi che parlano attraverso i tuoni il linguaggio dell’autunno. Un silenzio carico di attese come quello che precede ogni battaglia. E poi un unico fulmine a risolvere la tenzone.

Al lampo la resa

Del cielo l’attesa

che tiene sospesa

l’estate che pesa

il suo tempo in carati.

I nembi schierati

urlando a distesa

del tuono l’offesa.

Al lampo la resa.

Un giardino vero

Un giardino vero

Riconosco un giardino vero

non dalle splendide fioriture

né dalle aiuole ben disegnate.

Lo riconosco per via delle api

ricoperte di polline

il cui volo ne interseca le ragioni.

Lo riconosco per le vorticose farfalle

che dal nulla giungono

per tornare, dopo fulmineo stupore,

al nulla.

Lo riconosco dalle foglie

di rubino e topazio

che d’autunno ingemmano il prato.

Io vi accompagno per un poco

Io vi accompagno per un poco

Fino a ieri con il Grande
Ad innalzare manieri
Sulle spiagge e contro l’onda.

Oggi sulla stessa sponda
Con il Piccolo a scavare
Gallerie e fossati
Sdraiati sulla riva
Dell’estate che muore.

Lascia che io viva
Il tempo che resta,
Lascia che il passare delle ore
Non mi muova più a tristezza.

Nella brezza che giunge da levante
Dammi ancora un istante
Per una carezza,
Per una piccola pena residua
Per un bagno, per un gioco.

Sulla rena della mia anima
Ho scritto con un bastone:
“Io vi accompagno, per un poco”.

La tempesta

La tempesta

La tempesta avanza

con gambe di saetta

e senza fretta danza

sul mare e sulla costa

dove sosta un attimo

prima di abbracciare

la campagna.

Con gocce di piombo fuso

già bagna il lombo del Colubrina

e brina liquida depone sulle foglie.

Tutte le mie voglie

la tempesta esaudisce

e accudisce i miei sogni

nel mattino nebbioso.

Ogni mistero disvela

e come vela

nel suo vento impetuoso

il mio cuore esulta.

Incontro

Incontro

Ti ho aspettata tanto, ma facendo finta di niente, come si fa con colei del cui arrivo non siamo certi.

Ti ho aspettata e poi ieri sera ho sentito che arrivavi. Una scusa per uscire a fare una passeggiata: “ma sta per piovere!”, “appunto”.

Solo poche gocce all’inizio, quelle che fanno sperare, quelle che fanno temere che sarà ancora una volta un incontro mancato.

Poi però ho sentito che arrivavi dal fondo della campagna. Ho sentito quel ruggito leggero, le fusa di un gatto cosmico, come di qualche cosa che sta già accadendo lontano da noi e che piano si avvicina.

E poi sei arrivata, tutta, in un colpo solo, con la tua veste estiva fatta di gocce enormi e mi hai fatto letteralmente tuo in pochi secondi aggiungendo a quel 65% di te che mi porto già dentro un’indefinibile percentuale celeste che ha inzuppato i miei vestiti e ripulito la mia anima in pochi secondi. Per fortuna avevo tagliato i capelli a zero il giorno prima.

E mentre tutto attorno gioiva con me del tuo arrivo ho deciso di proseguire fino alla vasca di raccolta che in questi mesi ho guardato ogni giorno sperando in un miracolo liquido che non poteva essere. E quando sono arrivato ogni singola gronda, ogni singolo tubo gorgogliavano e ridevano proprio come facevo io in quel momento e la vasca era un tripudio di getti, di gocce, di minuscole dirompenti onde, di spruzzi che gridavano “grazie…grazie…grazie”.

Sono tornato piano verso casa e mentre rientravo, letteralmente immerso in quella benedizione che è forse la cosa più bella che accade su questo pianeta in cui avviene un miracolo grande: cade acqua dal cielo, mi sono rimproverato perché per un poco, durante questa estate così lunga di gradi e di pensieri, forse mi ero dimenticato di te per lo stesso motivo per il quale ci si dimentica, forse, della donna sopra ogni altra amata: perché, quando la si incontra nuovamente, il nostro cuore possa balzarci in petto ed i nostri occhi farci dire “quasi non ricordavo più che fosse tanto bella”.

Ancora pochi metri e lascio il fiume che adesso sostituisce la strada che conduce a casa mia per svoltare nella rada tranquilla che introduce al mio giardino. Qui mi fermo un attimo per ringraziare la divinità che ancora una volta ha mandato la pioggia a guarire ogni singolo male non tanto per un suo effettivo potere taumaturgico me perché più di ogni altra cosa sa farci fare pace con la morte.