Amo tutto ciò
che costringe all’abbraccio.
Il ghiaccio
e per sempre ci lega
allo sconosciuto soccorritore.
Il gelo
che si trasforma in tepore
fra le braccia dell’amico.
Quell’antico odore di muschio
che senza vergogna ci induce
a circondare con le braccia il tronco.
Un discorso d’amore monco,
ché le parole
sembrava non bastassero
e che bastò invece
ad azzerare la distanza.
Quelli ai quali conduce la sera
nella stanza dei bambini,
la danza la cui bellezza
dipende dalla prossimità,
il regalo che non ti aspettavi
e che ti sorprende,
l’anima che ha
il sopravvento su ogni cosa
e il peccato veniale perdona
senza neanche la mercede
di una scusa.
Quella zona esigua e chiusa
alla quale l’ombrello costringe
perché alla tempesta
così si risponde.
Le onde di quel mare
nel quale decidere se annegare
o salvarsi la vita.
Le dita prima,
poi la mano, e quindi il polso,
e il gomito che si piega
per accogliere l’altro
in un atto che non si spiega.