Sono andato presto per quel pezzo di spesa della settimana che facciamo in un supermercato. Il supermercato è dentro un centro commerciale. Se non vado nel primo pomeriggio della domenica mi imbatterò di certo nella coda infinita che riempie la rotonda di Carini per poi sfociare nell’immenso parcheggio del centro commerciale che, seppur così grande, riesce a stento a contenere il flusso immane. In ogni caso, prima che io finisca, il posto è stracolmo di persone. Così ogni domenica. Un’umanità che immagino scelga di passare la sua domenica in uno di questi luoghi e chissà quanti altri giorni alla settimana. Si aggirano in quel posto una domenica dopo l’altra. Immagino che apprezzino contemporaneamente ciò che di quel posto resta sempre uguale, la temperatura: estate e inverno, la luce: notte e giorno, e quello che invece cambia: i prodotti che hanno un andamento stagionale per esempio, gli abiti estivi e quelli invernali, i negozi che cambiano, gli eventi proposti da chi gestisce il posto, una nuova pubblicità, i saldi, una svendita. Sono i figli di una delle svolte evolutive compiute dall’umanità ad un certo punto della sua storia. Abbiamo cominciato a comunicare meglio di chiunque altro alcune migliaia di anni fa (mi sembra suggestiva l’idea di Matt Ridley che nel suo “il gene agile” immagina che il nostro linguaggio fosse linguaggio dei segni prima che delle parole e che anche questo ci abbia portato ad assumere la posizione eretta: avere le mani libere per parlare), poi un altro bivio, circa 15.000 anni fa, quello dell’agricoltura. Non più nomadi, raccoglitori, cacciatori, ma stanziali, agricoltori, allevatori che cominciano a produrre un surplus alimentare di scarsa qualità per le fasce più basse della popolazione che deve sempre crescere per mantenere con alimenti, beni e servizi di qualità le fasce più alte e improduttive (governanti, sacerdoti, soldati). Poi ancora un bivio e ancora una scelta che cambierà il corso della nostra storia. L’accesso, derivante dall’uso di nuove tecnologie, ad una fonte di energia che si è depositata per milioni di anni nel sottosuolo. È proprio da lì che nasce questa nuova “specie”, quella del centro commerciale intendo. Ieri sera ho visto un film strano, di quelli che mi propone il mio amico Vincenzo. Si intitola “il buco”, un film a me assolutamente sconosciuto che parla della scoperta di una realtà che invece conosco molto bene: la grotta del Bifurto, sul Pollino, in Calabria. Il regista sceglie già all’inizio del film di contrapporre due immagini, due idee: nello stesso anno, era il 1961, uno dei fatti che coinvolge maggiormente l’opinione pubblica italiana è la costruzione del Pirellone a Milano, l’ingegno umano che si verticalizza e aspira al cielo, +127 m. Nello stesso anno un gruppo di speleologi piemontesi scopre l’abisso del Bifurto, allora la terza grotta più profonda del mondo, -683 m. È in quel tempo che evidentemente abbiamo deciso a quale molteplicità volevamo rivolgere la nostra attenzione, se quella da noi prodotta, materiale, consumabile, “possedibile”, oppure la molteplicità della natura, quella che si esprime attraverso le ere e le stagioni, quella che si mantiene uguale e sempre diversa, quella che non ci appartiene pur essendo profondamente nostra visto che è la matrice stessa del nostro essere, quella che non si prende ma si contempla.
Quelle persone stasera in quel centro commerciale non andavano in giro in maniera molto diversa da come faccio io ogni volta che torno su un prato, in una gola, in una grotta, in un bosco. Solo che la molteplicità che loro hanno deciso di ammirare, desiderare, comprare non corrisponde a quella che io ho deciso di contemplare. Le loro marche, la varietà dei prodotti che li appassiona, il continuo succedersi sugli scaffali di beni di consumo che sono sempre migliori del precedente, nulla hanno a che fare con l’alternarsi dei colori di un bosco durante le stagioni, dei profumi che si inseguono anche nello stesso luogo nel dipanarsi di un anno, con la luce che cambia nello scorrere del giorno, con i venti che giungono da diversi quadranti, con la pioggia che mi bagna, il sole che mi riscalda le mani in una mattina fredda. Loro sono maggioranza, una maggioranza che sta corrodendo, togliendo spazio al mio mondo. Io sono minoranza e li guardo e li ascolto preoccupato.