Spero che alla fine istituiranno un “Premio alla Pazienza” per coloro che ne hanno ancora per continuare a leggere le cose che scrivo. Perché, diciamocelo francamente, sono tre o quattro le cose che a questo punto della mia vita mi sembra di avere capito e queste continuo a rimestare nel contenitore del mio blog o della mia pagina facebook. Una di queste è (avverto con assoluta chiarezza il brivido che percorre la schiena dell’eventuale lettore sopravvissuto alla premessa) una questione che a questo punto della nostra storia di esseri umani considero addirittura esiziale: lo spazio compreso fra i due estremi del livello personale e di quello collettivo. Credo di avere affrontato l’argomento in tutte le possibili salse. Ne ho fatto elemento centrale della maggior parte dei miei interventi di apertura del MITIng della mia associazione, argomento di discussione con persone care e con quasi sconosciuti. Eppure credo che ci sia sempre qualche cosa da aggiungere anche perché credo che questa idea sia in continua evoluzione e proprio in questo tempo straordinario che attraversiamo stia diventando una delle questioni fondamentali per via dell’esasperarsi di posizioni che sempre più si muovono verso istanze personali e sempre meno verso posizioni collettive (in questo senso l’intervento di ieri del nostro Presidente della Repubblica mi sembra da interpretare anche in quest’ottica). D’altra parte noi siciliani davvero non possiamo né stupirci né preoccuparci essendo da sempre portatori di principi e valori che traguardano prima di tutto il livello personale fino agli estremi di un individualismo sdrucciolo che pervade la vita di ognuno di noi come protagonisti che agiscono o come comprimari che subiscono. In questo senso, quando cerco di fornire a persone che non vivono in questo luogo e che abitano un livello più prossimo all’estremo collettivo, non posso che invitarle (in stile Benigni) a trascorrere qualche ora nel traffico della mia città, esperienza che come poche altre fornisce uno spaccato perfetto di una società che vive in maniera totalizzante in un sfera assolutamente personale che nel caso del traffico si sintetizza perfettamente nella frase: “innumerevoli IO immersi in una massa di NESSUNO”. D’altra parte il nostro muoverci verso l’altro estremo della forbice, che è appunto quello del livello collettivo, ci porta, al massimo, ad ampliare la nostra sfera di azione e comprensione al confine dato da quella che consideriamo la nostra famiglia con tutto ciò che ne deriva in termini di patologie a partire dal familismo amorale che riguarda anche nel quotidiano moltissimi di noi fino alla riproduzione, in varie situazioni e in vari ambiti, del fenomeno mafioso. Ma anche in questo caso siamo pronti a ridimensionare anche questo seppur esiguo ampliamento del livello personale nel momento in cui perdiamo il “nemico” che per lo più risiede nel territorio sconfinato delle relazioni extrafamigliari per ritrovarlo all’interno delle nostre famiglie. Anche questa è una dinamica che conosciamo bene per esempio in situazioni nelle quali c’è da spartirsi un’eredità, e più che mai oggi, in una situazione nella quale la contingenza pandemica ci propone spesso la figura dell’untore all’interno dei nostri confini famigliari.
D’altra parte quando mi trovo davanti ad un’idea che mi convince, la cui struttura mi sembra abbastanza completa e condivisibile, il mio cervello produce immediatamente una richiesta alla quale esso stesso da generalmente una risposta: una sintesi, un simbolo che attraverso il suo potere esemplare renda immediatamente comprensibile il concetto espresso.
Quando ci riesco la sera faccio una passeggiata nei dintorni di casa mia. Trenta minuti, da casa alla nazionale e ritorno. Passo in mezzo alla babele dell’edificato carinese anni 70 e 80. Esso stesso esempio analitico di che cosa voglia dire “io sono io e di chi siete voi non me ne fotte niente”. Lo attraverso pensando a cosa mi proporrebbe dal punto di vista abitativo un’attraversamento simile, che ne so, della campagna inglese o di quella tedesca. E poi ogni volta arrivo davanti a l’ingresso di quella casa e penso: “quando dovrò spiegare ai miei figli questa storia, la storia di un popolo che non è mai stato popolo ma massa di individui incapaci di comprendere che da soli non si arriva da nessuna parte, li porterò davanti a questa casa”. E’ quella che si direbbe una villa bifamiliare, nemmeno troppo brutta confrontata con ciò che la circonda. Appartiene a due fratelli, uno vive a sinistra e l’altro a destra. Hanno costruito un muro che divide lo spazio aperto e quattro cancelli, due per le persone e due per le macchine. Credo che questo sarebbe già sufficiente a definire il paradigma non fosse per un dettaglio che ci porta a ritenere che in questo caso arrivati al più basso dei livelli personali i due abbiano continuato a scavare. Non sono riusciti nemmeno a mettersi d’accordo su come rivestire il muro esterno: uno con la pietra, l’altro con le mattonelle.