Agli inizi del 2000, quando cominciai le mie attività di cooperazione in Tanzania, dati non ufficiali parlavano di un incidenza di sieropositivi sull’altopiano di Iringa pari al 20% dell’intera popolazione. Il problema era talmente urgente e aveva conseguenze talmente devastanti che anche la chiesa cattolica, che in Europa diceva a gran voce che non era il preservativo la soluzione, in Africa se non era proprio fra i soggetti distributori quantomeno, senza troppo clamore, ne promuoveva l’uso.
Purtroppo però era altro il problema culturale contro il quale ci si scontrava. La maggior parte degli uomini tanzaniani consideravano infatti il preservativo alla stregua di un feticcio e quindi ritenevano che fosse sufficiente avercelo a portata di mano per ridurre il rischio di contrarre o di trasmettere l’infezione. Per fortuna noi qui in Italia non siamo arretrati come i tanzaniani.