C’è una ghiandaia che arriva qui sulla costa da chissà quale querceta dell’entroterra. Ha posto anni fa un’ipoteca sul leccio nato da una ghianda pantesca e che adesso trionfa e copre gran parte del patio. Ogni mattina arriva dalla sua sconosciuta abitazione per rivendicare il privilegio e controllare la sua proprietà gracchiando poche volte con la discrezione e l’autorevolezza di chi vanta un diritto che nessuno può mettere in discussione. Aspetta il tempo in cui le ghiande saranno mature e dopo pianterà boschi.
Poi c’è il leccio appunto. Reduce da una stagione felice, ha oggi i rami impavesati da infiniti abbozzi di ghiande. Le indossa senza ostentazione come chi sa di essere il rappresentante un po’ fuori luogo di una specie generosa e gratuita che non tiene conto del proprio seme perché alla fine è interessata unicamente alla propria progenie. È legato alla ghiandaia da un patto antico, un patto di vita, un patto silenzioso che la maggior parte degli uomini non conosce.
E poi ci sono io. Ogni mattina aspetto il gracchiare della ghiandaia e spero di cogliere il lampo azzurro delle sue remiganti. Ogni giorno godo dell’ombra che il leccio mi dona e spazzo via tutti gli aborti di ghiande che non nutriranno la ghiandaia e non riprodurranno il leccio. Ed io che conosco il loro patto mi sento un po’ come se fossi il garante di qualche cosa che nella mia contemplazione trova il suggello.
Bello il tuo scritto, bello e pieno di speranza, in questo tempo che sembra sospeso.
Buona giornata.
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Si, sembra un tempo sospeso…ad un passo dalla gioia e ad uno dell’infelicità
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Tu guardiano della natura…
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una guardiano stanco…
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