Non vado a Palermo da qualche giorno. Questi per noi siciliani sono i giorni di una triste ricorrenza. Eppure mai come oggi mi sembra che il tratto di autostrada fra Carini e Capaci sia bello, e luminoso e pieno di vento e di speranza.
Comprendo subito la ragione di questa mia sensazione. Proprio nei giorni che precedono l’anniversario dell strage, per ragioni a me sconosciute, sui piloni della luce che fiancheggiano l’autostrada vengono appese, fra loro alternate, le bandiere italiana, della regione siciliana e dell’ANAS (cosa questa per me ancora più misteriosa).
E le bandiere sono li che “impavesano” il percorso e “garriscono” al vento.


Ed io lo so che il senso di grande bellezza che mi assale non è nella relazione fra l’anniversario e l’ostensione delle bandiere, che per la verità mi sembra una cosa abbastanza ipocrita.
Lo so che non è emozione che nasce dal vedere sventolare il vessillo nazionale (che come dice la mia amica Delia Tusa, amo quanto l’inno di Mameli e le frecce tricolore), o la triscele, e meno che mai la bandiera dell’ANAS (!!!).
Io credo che l’emozione nasca proprio dal dire a me stesso che “l’autostrada in questa mattina di sole di fine maggio è IMPAVESATA di bandiere che GARRISCONO nel vento”.
Perché dentro queste parole c’è la bellissima “trieste” di Sergio Endrigo, e alcune poesie di Umberto Saba, e mia zia Ginette che chi sa per quale misteriosa ragione più di tutte fra le parole di una lingua che non era la sua amava “impavesare”, e un’immagine fulminante di una Malta che non ho mai amato ma che mi commosse in un giorno d’estate con i suoi paesi bianchi impavesati di vessilli azzurri che garrivano al vento.
E allora si, caro Giovanni Callea, penso che la poesia potrebbe salvarci, meglio di come potrà mai fare la politica, certamente meglio della guerra.

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