Forse ti lasciano andare se prometti di tornare. Forse è il patto che hai fatto 45 anni fa, il beneficio che ti hanno concesso per quella partenza troppo precoce. Forse ti muovi quando senti l’odore del muschio e del sughero antichi che si sprigiona dalla valigia che conteneva il tuo piumone in raso, corredo di giovane sposa. Forse è il tintinnio delle palline di vetro colorato, la bellezza delle quali i miei non riescono a comprendere e che si stanno estinguendo, due in frantumi ad ogni anno che passa.Allora con il tuo viatico celeste e attratta da una memoria che non si può cancellare lasci la casa gelata, lasci la casa sulla collina, lasci il letto sporco e, per strade che non conosco, vieni a casa mia.
Ti vedo, mamma, ogni mattina, con la coda dell’occhio, come si vede Mizar stella troppo fioca solo perché lontana, seduta in un angolo della mia cucina. Ti vedo, con la camicia da notte e la vestaglia (ché non ti permettono di indossare altro) che guardi critica ciò che quell’anno sono riuscito a produrre, sono riuscito a mettere assieme. E sposti i gemelli un po’ più vicini, una pecora su quella balza, il povero un po’ più prossimo al fuoco.
Poi a sera viene il momento in cui devo spegnere le lucine del presepe, e allora ti vedo ancora per un attimo e appena esco tu ti ran
nicchi sul divano e ti copri con quello che trovi. Io ti lascio sempre sesamo tostato, mamma, in piccoli sacchetti bianchi, e acqua fresca di tutte le sorgenti che nascono dai monti sui quali vorrei sempre andare, e dove ti cerco e non ti trovo.
Di notte poi ti muovi poco, tentando di non farci spaventare, e sembra che ogni tanto ti siedi ai piedi del letto del grande e lo guardi con identico amore al mio e carezzi piano il piccolo per fargli passare la tosse e i pensieri pesanti.
Per un mese intero saremo ancora assieme. Non potremo toccarci, non potrò baciarti, che nemmeno mi ricordo più che profumo
avevi. Tu lontana dalla casa sulla collina, io vicino a te per come i sogni e i desideri ce lo permettono.

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