Appena cominciai ad andare a Parigi con Ginette e Filippo cominciò a presentarsi con regolarità un sogno.
Mi aggiravo fra le vie sconosciute ed incomprensibili di una Parigi misteriosa. Una specie di città orizzontale stretta fra il mare (!) e le colline, una specie di Genova d’oltralpe che io nel sogno non riuscivo a decifrare.
Cercavo disperatamente un ristorante dove mi aspettavano i miei zii, con quella disperazione che è tipica dei sogni, come quando non riesci a telefonare oppure hai smarrito qualche cosa di importantissimo ma non sai cosa sia.
Mi spostavo da un quartiere ad un altro, come se fossi su una scacchiera, fino a quando, finalmente, non trovavo un’indicazione, sempre la stessa: l’insegna di un locale, non quello che cercavo, sulla quale era scritto qualche cosa con grandi lettere in rilievo dorate.
A quel punto era come se ritrovassi le coordinate del luogo dove ero, tutto attorno mi risultava nuovamente famigliare e sapevo che da quel punto in poi sarebbe stato facile trovare il ristorante che cercavo.
Generalemnte il sogno finiva qui.
Non ho più fatto questo sogno per oltre 30 anni.
Stanotte il sogno è tornato, ma questa volta giroo per quella Parigi indecifrabile con i miei bambini. L’angoscia è più grande del solito perché ci sono loro con me ed sono preoccupato che possa accadere qualche cosa.
Ma nuovamente dopo avere girovagato per un poco vedo l’insegna dalle lettere dorate e tutto si illumina e attorno a me appare la Parigi che conosco, identica a quella dei sogni antichi, riproduzione onirica di quella reale vissuta con due delle persone che ho amato maggiormente nella mia vita e che adesso non ci sono più.
Stamattina, quando mi sono svegliato, una frase accompagnava nella mia mente le immagini ancora nitide del sogno. Una frase di “Festa mobile” di Ernest Hemingway, una delle sue opere incompiute e che amo tanto.
“Si finiva sempre per tornarci, a Parigi, chiunque fossimo, comunque essa fosse cambiata o quali che fossero le difficoltà, o la facilità con la quale si poteva raggiungerla. Parigi ne valeva sempre la pena e qualsiasi dono tu le portassi ne ricevevi qualcosa in cambio. Ma questa era la Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici.”
Proprio due giorni fa camminando per strada ho visto un insegna rossa di un ristorante “Chez Ginette” e pensavo a quando li incontravo al centro Olimpo con il carrello vuoto perché erano solo andati a fare un giro ,e poi realizzavo che la mia bimba si chiama Gini ma ultimamente in molti la chiamano Gina o Gine ….
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ci sono sempre tante coincidenze quando is entimenti sono forti cara cognata…
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