Una poesia di una quindicina di anni fa. Dopo una lunga giornata di pioggia sull’altopiano centrale della Tanzania. Qualche ora prima che arrivasse la mia “prima malaria”. Un giorno passato con alcuni Uomini.
Oggi forse una risposta per tutti quelli che come me, ma dall’altra parte del muro, vogliono decidere cosa sia un uomo e cosa no.
Questo è un uomo
Ci hai chiesto un giorno maestro
se questo è un uomo
ed oggi che sei lontano
con forza, con rabbia
ancora io chiedo
a quelli imprigionati nel ventre delle loro auto
nel traffico delle città
se questo è un uomo.
Questo che non può nutrire se stesso,
i propri figli, le proprie speranze.
Questo che muore ogni giorno
delle malattie più banali e delle più terribili.
Questo che trema di freddo sotto la pioggia,
che non ha un vestito degno di questo nome,
ne scarpe, ne ragione mai.
Questo che non ha prospettive, ne desideri,
ne ritiene possibile domani.
Eppure stasera squassato da questo trattore,
con dentro la mia piccola casa di fango,
guardo a questi miei compagni
ricoperti di terra, fradici di pioggia,
(che pure cantano e ridono,)
e dico, maestro, che questi sono uomini.
Certamente più di me, certamente più
di quelli imprigionati nel ventre delle loro auto
nel traffico delle città.