E’ difficile, per come va il mondo e per come funziona l’uomo, pensare che possano esistere valori assoluti, verità assolute.

Tutto sembra relativo, sembra che le cose vadano sempre considerate in termini di paragone, confrontate con altre cose o situazioni simili per potere fornire una misura che sia accettabile e coerente.

In questi giorni mi torna in mente una storia vissuta diversi anni fa in Tanzania durante le mie attività di cooperazione.

La storia si svolge in un villaggio dell’entroterra, a quasi 2000 metri di quota sull’altopiano, il villaggio nel quale la mia associazione ha la sua base logistica.

Veniamo chiamati dal Direttore della scuola primaria, una persona che a me piace tantissimo e che anni dopo sarebbe diventato il presidente della nostra associazione gemella.

Piccola di statura (come quasi tutti gli uomini della sua tribù), con un baffetto chapliniano e di pochissime parole. Quest’ultima, forse, caratteristica “di relazione” visto che le due lingue nelle quali possiamo comunicare sono l’inglese (che lui parla pochissimo) e lo swahili (che io parlo ancora meno).

Ci dice in sintesi: la scuola è l’unica che serve un enorme territorio (solo alcuni anni dopo avremmo costruito assieme la seconda scuola primaria del villaggio a Msengela), per di più è l’unica fra i tanti villaggi della zona che offre i corsi professionali “post primaria” ai quali accedono molti dei ragazzi che non possono permettersi “il lusso” della scuola secondaria. Questo ha come effetto il fatto che hanno molti iscritti provenienti da altri villaggi che però non possono permettersi di fare quotidianamente i tanti chilometri che li separano dalla scuola. La scuola però non è dotata di un dormitorio e lui è costretto ad ospitare i ragazzi all’interno delle classi dove, naturalmente, dormono a terra.

Ci convinciamo immediatamente. Si attiva subito uno dei nostri gruppi di supporto a Palermo al tempo diretto dalla mia amica Cristina, persona di grandissima sensibilità e con un’incredibile capacità di mobilitare persone e risorse. In pochi mesi hanno raccolto tutta la cifra necessaria per i dormitori e cominciano i lavori.

Un anno dopo sono nuovamente con il direttore sulla stessa spianata che mi ha mostrato l’anno prima, solo che adesso al posto dei quarzi dell’altopiano ci sono gli edifici del dormitorio. Concordiamo gli ultimi dettagli prima che i dormitori entrino in fuznone. In realtà non si tratta di una negoziazione. Per lo più ascoltiamo con il massimo rispetto quello che di sicuro loro sanno meglio di noi permettendoci solo raramente di inserire qualche nostra richiesta, istanza, integrazione.

Il dormitorio è diviso in diverse stanze di circa 15 metri quadri l’una. Diamo per scontato che in ogni stanza potrebebro andare 2 letti a castello. Il direttore e i maestri ci guardano esterefatti: quattro bambini per stanza? Ma siamo pazzi? Loro pensavano di mettercene almeno otto!

Siamo noi a questo punto a restare senza parole. Chiediamo un po’ di tempo per consultarci e per poterne parlare fra di noi.

Quella sera sono sullo spiazzo davanti la missione cattolica. Il frate che la gestisce, oltre ad occuparsi di curare le anime e i corpi dei suoi fedeli, si prende cura anche delle loro menti.

Propone settimanalmente una sorta di cineforum all’aperto. Proietta sul muro dell’asilo film di sua scelta rigorosamente in italiano (a proposito di spazio neutro di negozziazione!). La cinematografia in swahili è giustamente considerata poco edificante, quella in inglese non è praticabile dal frate che si rifiuta di imparare la lingua e quindi resta solo quella in italiano.

Il frate fa scorrere lunghe scene che poi interrompe per restituire al pubblico una breve sintesi in swahili di quanto visto ed ascoltato fino a quel momento (se Borges fosse vivo e sentisse questa storia sono sicuro che ci farebbe un racconto).

Quella sera, per ragioni che per sempre sfuggiranno alla mia comprensione, il frate propone “schindler’s list”.

Mi aggiro fra il pubblico variamente accampato davanti all’asilo per cogliere i loro commenti. Non sono certo di capire bene cosa dice un gruppo di donne che confabula  a bassa voce e probabilmente anche in Kihehe (la lingua tribale) e quindi passo ad un gruppo di ragazzi delle secondarie che invece parlano fra loro in inglese. Questa volta non ho dubbi su quello che stanno dicendo.

Anche loro commentano le scene nelle quali si vedono i dormitori dei lager. E dicono una cosa inconcepibile, per me fino ad un minuto prima impensabile, e al tempo stesso la risposta ai miei dubbi della mattina: “ma guarda in che dormitori comodi dormivano questi…hai visto quanti letti….hai visto quanto spazio…”.

L’indomanimattina ci rincontriamo con il direttore e gli diciamo che si, forse otto ragazzi per stanza non sono troppi.

6 pensieri su “Metro di paragone

  1. Che esperienza particolare deve essere, ho un amico che è stato in missione in Tanzania e quando me ne ha parlato ne sono rimasta affascinata. Mi piacerebbe partire anche per questo tipo di esperienza

    "Mi piace"

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...