Tante cose mi producono angoscia in questo tempo. Una in particolare: quando provo a decodificare il senso di ciò che accade troppo spesso trovo elementi di interpretazione e chiavi di lettura nell’opera di Primo Levi.

“Di queste cose parliamo, incespicando da una pozzanghera all’altra, fra il nero del cielo e il fango della strada. Parliamo e camminiamo. Io porto le due gamelle vuote, Alberto il peso della menaschka dolcemente piena. Ancora una volta la musica della banda, la cerimonia del «Mützen ab», giù i berretti di scatto davanti alle SS; ancora una volta Arbeit Macht Frei, e l’annunzio del Kapo: – Kommando 98, zwei und sechzig Häftlinge, Starke stimmt, – sessantadue prigionieri, il conto torna. Ma la colonna non si è sciolta, ci hanno fatto marciare fino in piazza dell’Appello. Ci sarà appello? Non è l’appello. Abbiamo visto la luce cruda del faro, e il profilo ben no to della forca. Ancora per più di un’ora le squadre hanno continuatoa rientrare, col trepestio duro delle suole di legno sulla neve gelata. Quando poi tutti i Kommandos sono ritornati, la banda ha taciuto a un tratto, e una rauca voce tedesca ha imposto il silenzio. Nell’improvvisa quiete, si è levata un’altra voce tedesca, e nell’aria buia e nemica ha parlato a lungo con collera. Infine il condannato è stato introdotto nel fascio di luce del faro.

Tutto questo apparato, e questo accanito cerimoniale, non sono nuovi per noi. Da quando io sono in campo, ho già dovuto assistere a tredici pubbliche impiccagioni; ma le altre volte si trattava di comuni reati, furti alla cucina, sabotaggi, tentativi di fuga. Oggi si tratta di altro. Il mese scorso, uno dei crematori di Birkenau è stato fatto saltare. Nessuno di noi sa (e forse nessuno saprà mai) come esattamente l’impresa sia stata compiuta: si parla del Sonderkommando, del Kommando Speciale addetto alle camere a gas e ai forni, che viene esso stesso periodicamente sterminato, e che viene tenuto scrupolo samente segregato dal resto del campo. Resta il fatto che a Birkenau qualche centinaio di uomini, di schiavi inermi e spossati come noi, hanno trovato in se stessi la forza di agire, di maturare i frutti del loro odio.

L’uomo che morrà oggi davanti a noi ha preso parte in qualche modo alla rivolta. Si dice che avesse relazioni cogli insorti di Birkenau, che abbia portato armi nel nostro campo, che stesse tramando un ammutinamento simultaneo anche tra noi. Morrà oggi sotto i nostri occhi: e forse i tedeschi non comprenderanno che la morte solitaria, la morte di uomo che gli è stata riservata, gli frutterà gloria e non infamia. Quando finì il discorso del tedesco, che nessuno poté intendere, di nuovo si levò la prima voce rauca: – Habtihr verstanden? – (Avete capito?)

Chi rispose «Jawohl»? Tutti e nessuno: fu come se la nostra maledetta rassegnazione prendesse corpo di per sé, si facesse voce collettivamente al di sopra dei nostri capi. Ma tutti udirono il grido del morente, esso penetrò le grosse antiche barriere di inerzia e di remissione, percosse il centro vivo dell’uomo in ciascuno di noi: – Kameraden, ich bin der Letzte! – (Compagni, io sono l’ultimo!)

Vorrei poter raccontare che di fra noi, gregge abietto, una voce si fosse levata, un mormorio, un segno di assenso. Ma nulla è avvenuto. Siamo rimasti in piedi, curvi e grigi, a capo chino, e non ci siamo scoperta la testa che quando il tedesco ce l’ha ordinato. La botola si è aperta, il corpo ha guizzato atroce; la banda ha ripreso a suonare, e noi, nuovamente ordinati in colonna, abbiamo sfilato davanti agli ultimi fremiti del morente. Ai piedi della forca, le SS ci guardano passare con occhi indifferenti: la loro opera è compiuta, e ben compiuta. I russi possono ormai venire: non vi sono più uomini forti fra noi, l’ultimo pende ora sopra i nostri capi, e per gli altri, pochi capestri sono bastati. Possono venire i russi: non troveranno che noi domati, noi spenti, degni ormai della morte inerme che ci attende. Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice”.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...