Torno a scrivere di raccolta differenziata a poche ore dal mio post di ieri.
Lo faccio perché nel tributo che ho voluto fare al mio sindaco e alla comunità nella quale vivo e che lui amministra mi sembrava di non avere detto qualche cosa, di avere trascurato un elemento importante.
Come ho gi scritto chiaramente in un mio post di qualche tempo fa (“Negare il nostro consenso…per proprietà e dignità“) io, in fondo, alla raccolta differenziata non ci credo.
Mi spiego meglio: ritengo che la raccolta differenziata nasca da un atteggiamento tipico da “ecologia superficiale” secondo la quale alla fine per qualunque danno produciamo a monte si troverà sempre una soluzione tecnologica a valle che ci permetterà di risolverlo e di continuare a mantenere inalterato il nostro comportamento o la nostra abitudine che lo ha prodotto.
In tutta la mia vita ho preferito aderire alla scuola dell’Ecologia Profonda e pensare che la soluzione stia piuttosto nel cambiamento dei nostri comportamenti e se vogliamo risolvere il problema dei rifiuti non dobbiamo preoccuparci di riciclarne di più ma semmai dobbiamo produrne di meno intervenendo a monte sulle nostre cattive abitudini alimentari e di consumo.
Ho provato a portare avanti questa tesi attraverso l’educazione alla terra, il metodo che ho scelto per cercare di modificare proprio quelle abitudini, per provare a far si che le persone si innamorassero a tal punto del nostro pianeta da considerarlo più sacro della propria casa, più sacro del proprio corpo.
Nonostante tutto sono rimasto sempre uno strenuo sostenitore e promotore della raccolta differenziata, pensando che se individualmente potevo rivendicare per me un compito più complesso, a livello collettivo aspirare a raggiungere un obiettivo come quello della raccolta differenziata sarebbe stato già un risultato significativo.
Quando abitavo a Palermo questo impegno assumeva a volte risvolti surreali. Resta indimenticabile la trasformazione della nostra auto del tempo in una specie di contenitore ambulante con il quale eravamo quotidianamente impegnati nella ricerca di campane non stracolme all’interno delle quali smaltire il nostro vetro, la nostra plastica, la nostra carta.
Adesso a Carini l’impegno personale, grazie a quanto scritto ieri, è più semplice, regolare e quotidiano e in questo senso assume per me un valore speciale che è quello del rito giornaliero.
Ogni mattina, dopo avere dato un’occhiata al foglio dei turni attaccato sul frigo, procedo al travaso della “materia seconda” (ad un certo punto cominciarono a chiamarli così) dai nostri bidoni domestici a quelli “per esterno” di cui ci ha fornito il comune.
E nel farlo immagino che molte altre persone, nello stesso momento, nella stessa mia “bioregione” lo stiano facendo.
Ogni mattina che il Signore la manda io lo faccio. Che sia l’inizio di un giorno glorioso nel quale mi aspettano inenarrabili cimenti che faranno di me un eroe, oppure un’alba fosca nella quale sento venire meno qualunque energia e speranza, che si tratti di un momento in cui il mio esistere in quello spazio/tempo gridi silenziosamente rivolto all’universo, nella gioia o nel dolore “IO…IO…IO…”, il rito quotidiano della raccolta differenziata mi costringe per un attimo alla dimensione collettiva del “NOI”, mi riporta ad un obbligo specifico nei confronti del pianeta, ridimensiona le mie ambizioni, da il giusto peso alle mie sofferenze, e fa che io mi unisca in una specie di “Mattutino Laico” a tutti coloro che per un attimo vogliono mettere da parte se stessi per unirsi in un canto sommesso elevato al nostro Pianeta.
Non smettere per questo di “infondere” ecologia profonda…
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ho bisogno di ritrovare energia mari…
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Lo so bene e so anche che no è un solo bagno nel fiume che può darti l’energia che ti serve…siamo qui!
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