Stanotte ho sognato Jon.
Il mio Maestro, la persona che mi ha insegnato che non basta solo amare il nostro pianeta ma che bisogna comunicare agli altri questo amore e che c’è una maniera per farlo.
Ci trovavamo seduti l’uno accanto all’altro su un pulman. Ridevamo sereni. Poi io gli ho detto che avevo fatto un sogno (mio figlio dice che quando si sogna di sognare allora si è morti…e forse ha ragione perché effettivamente un po’ dentro mi sento così).
Gli dicevo che avevo sognato di essere a Cedar Cove (dove non sono mai stato e avrei sempre desiderato andare) e che la per me era stato organizzato un evento durante il quale avrei condotto uno dei miei incontri di “Educazione alla Terra” e la mia postazione era sotto una specie di portale che era stato costruito con dei bellissimi rami intrecciati. Non ricordo altro del sogno, non ricordo le parole di Jon. Ricordo solo che parlavo in inglese, ricordo le parole che dicevo, una per una.
In questi giorni sull’isola ha ricominciato a piovere. Ho atteso questo momento con un’ansia mai avuta prima. Con un desiderio che supera qualunque altro desiderio che abbia fino ad adesso provato, con un’arsura che ancora non smette.
Mentre aspettavo ho sentito, ho letto quello che diceva la gente. Ho continuato ad ascoltare e a leggere anche in questi primi giorni di pioggia.
E quello che ho letto e sentito non mi ha dato alcun sollievo, alcuna speranza.
Escluse quelle 3 o 4 persone che so e che provano una compassione simile alla mia, il resto è stato solo vuoto spinto o peggio ancora.
Fra le considerazione più avanzate e sensibili spiccavano frasi del tipo: “certo la pioggia è fastidiosa…ma ci vuole”. La pioggia è FASTIDIOSA!?!?!?
Non riesco nemmeno a commentare un’affermazione del genere. E questo non è ancora niente.
Perché il pensiero che ho visto comporsi in questi giorni fra coloro che hanno anche solo la percezione del problema climatico (perché da questa giaculatoria resta fuori gran parte dell’umanità dell’isola che nemmeno percepisce il problema) si articola più o meno nel seguente modo: “non piove. Le scorte sono ridotte al lumicino (ma anche li probabilmente il clima non c’entra niente, ne i nostri consumi assurdi…c’è dietro un complotto di gente che svuota i laghi per approfittare dell’emergenza). Dopodichè siamo un’isola e quindi, magari non nel breve periodo, però in un tempo ragionevole potremo approfittare della tecnologia dei dissalatori”.
Considero questo un pensiero esiziale.
Un pensiero di esseri umani che non hanno nessuna comprensione di cosa sia il più grande fra i cicli che riguardano il nostro pianeta. Un pensiero che ha come scopo quello di andare ad intercettare la risorsa acqua alla fine del ciclo dove è necessaria un’enorme quantità di energia per privarla del sale e per farla risalire alle quote dove naturalmente la porterebbe l’energia solare.
Un’acqua che non godrebbe più degli effetti depurativi del clima e del filtro offerto dalle rocce e dal suolo. Un’acqua che dovrebbe essere immagazzinata da qualche parte, che dovrebbe essere distribuita adeguatamente, definitivamente non adatta al cosumo umano.
E anche se tutti questi problemi non costituissero di per se un deterrente sufficiente la domanda è: questa acqua per dissetare cosa?
La risposta è: le città, i centri abitati.
E allora mi chiedo. In questo nuovo sistema chi darebbe acqua alle montagne, ai boschi, alle campagne, all’agricoltura?
Quale sarebbe lo scenario che inevitabilmente deriverebbe da questa soluzione? Una serie di centri abitati immersi in un deserto sterile. Una serie di aggregati umani completamente dipendenti da un “lontano da qui” e che prendono acqua dalla pozza avvelenata e maleodorante in cui stiamo riducendo il Mediterraneo.
In questi venti anni in cui mi sono impegnato con tutto me stesso a provare a nutrire negli altri un senso di attaccamento nei confronti del nostro pianeta, più volte ho avuto la sensazione di gridare nel deserto. Ancora di più provo adesso questa sensazione, adesso che il deserto è davanti a noi, è una prospettiva concreta, quasi un’aspirazione della mia specie.
Ho gridato per anni che le emergenze ambientali vere non erano quelle che ci mettono quotidianamente davanti agli occhi, che l’effetto serra, il buco nell’ozono, i cambiamenti climatici, lo sfruttamento incontrollato delle risorse sono emergenze gravi ma bisognerebbe considerarne soprattutto una: questa specie, la nostra, la prima sulla Terra che ha il potenziale per estinguere se stessa e per distruggere l’intero pianeta, ha messo al mondo una generazione, la prima nella sua storia, convinta che il proprio ambiente naturale sia la città.
E’ questa la vera emergenza deflagrante. Il resto sono solo conseguenze, effetti collaterali.
Solo una generazione che pensi e viva con questo atteggiamento quotidinamente può pensare che il dissalatori possano essere una soluzione al problema, può dire che si, la pioggia è utile ma fastidiosa.
Caro Jon mi piacerebbe andare con te un giorno a Cedar Cove. Mi dicono che li la notte sia un tripudio di lucciole, mi dicono che ci sono delle meravigliose grotte.
Non voglio andare li per raccontare ancora una volta del nostro amore per il pianeta, non voglio nessun portale fatto di rami intrecciati, mi basterebbe passeggiare un poco con te fra i boschi di quella terra, di questa Terra, per poi sederci, vuoti di pensieri e giudizi, a condividere un’arancia.
Io non capisco chi dice la pioggia che scocciatura, la neve che noia, sto freddo che cavolo! mamma mia che caldo….e chi più ne ha più ne metta. Ecco, siamo arrivati a tutto ciò che danneggia il nostro pianeta pechè l’uomo ha messo se stesso al di sopra di Madre Natura.
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di siscuro al di fuori…
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Un punto di vista che condivido … un pensiero che ci ricorda di non dare per scontato il nostro ambiente e che la salvaguardia dell’ambiente dipende da noi. La città non è il nostro habitat, anche se può renderci la vita apparentemente più comoda, ci crea problematiche personali insolubili (stress, indelicità, senso di inadeguatezza, …)… e la pioggia … tra le altre cose, ripulisce l’aria che respiriamo, anche in città.
Buon proseguimento 🙂
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