“Si rompe il tempo e l’attimo, per un istante, resta sospeso,
appeso al buio e al niente, poi l’assurdo video ritorna acceso;
marionette si muovono, cercando alibi per quelle vite
dissipate e disperse nell’aspro odore della cordite.
…Poi tutto ricomincia come ogni giorno e chi ha la ragione,
dico nobili uomini, danno implacabile giustificazione“.
Comincio questo post con le parole di Francesco Guccini. Ma in realtà il pensiero che lo attraversa nasce ieri, con le parole del mio amico Marco Pomar.
Con termine giornalistico potrei dire che ancora i riflettori non si sono spenti sui fatti di Barcellona. Sarebbe un dire inutile perché si spegneranno in un tempo brevissimo, ancora prima che un altro atto simile si consumi, anche se ciò, purtroppo, dovesse avvenire presto.
Le parole di Marco, come spesso avviene, hanno fatto nascere in me innumerevoli pensieri, mi hanno ricollegato con un gran numero di ricordi, di sollecitazioni.
Marco così generoso quando scrive per far ridere, appena si trova a maneggiare la materia complessa del dolore diventa immediatamente parco e concede ai suoi lettori uno spazio esiguo di parole entro le quali muovere un pensiero, trovare una speranza.
A me le sue parole hanno immediatamente suscitato un moto di stizza, un sentimento di rifiuto.
Incapace di fare miei gli slogan che normalmente girano sulla rete nelle ore immediatamente successive a fatti del genere, per una volta trovavo che il gridare tutti assieme “noi non abbiamo paura” fosse veramente l’unica risposta possibile a tanto male, a tanta inaccettabile violenza.
Il mio pensiero è dapprima andato alla frase con la quale Winston Churchill apostrofava i propri connazionali in preda al terrore prodotto dai bombardamenti sull’Inghilterra: “bisogna avere paura soltanto della paura“.
Poi ho pensato al nostro Paolo Borsellino e a quello che diceva nei giorni precedenti la propria morte: “”Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola“.
E dentro di me ho sentito tornare a galla ciò che penso da tanto tempo, che il bene e il male lottano con armi impari perché il male è capace di dare la morte e lo fa con facilità, utilizzando strumenti banali, rendendo la morte altrui una possibilità alla portata di tutti. Ma il bene, da parte sua, non è capace di restituire la vita. E’ capace di curarsene, ti metterla al centro del proprio agire, di darla, in qualche modo, ma mai di restituirla.
Sembrerebbe che solo un uomo sia stato capace di rompere la regola secondo la quale in questa parte dell’universo necessità termodinamiche portano tutto a degradarsi in un’entropia che conduce al caos, che rendono più facile scendere verso lo zero assoluto del male piuttosto che riconquistare un solo grado alla causa del bene. Costui sembra che riportasse gli uomini in vita un paio di migliaia di anni fa e da allora ancora oggi si tramanda la sua buona novella, ed io quella provo a testimoniare quotidianamente, seppure in nome di quel Dio tante efferatezze, simili a quelle che si compiono oggi nelle nostre città, sono state commesse.
E mi sono rivisto pochi giorni fa proprio nelle vie di una di quelle città attraversata dall’incubo solo qualche settimana fa. E mente ero su Tower Bridge il mio amico Claudio ha richiamato la mia attenzione su degli strani oggetti a forma di enorme mandorla nera che ingombravano i marciapiedi e mi ha detto: “li hanno messi da poco, servono a bloccare i camion, nel caso in cui qualcuno tentasse di utilizzare ancora questo metodo per ammazzare la gente”.
E allora mi sono venute in mente altre parole, quelle che Wim Wenders fa dire ad uno dei suoi personaggi ne “Il Cielo sopra Berlino”: “Ci sono ancora confini. Più che mai. Ogni strada ha la sua barriera o frontiera, tra i singoli terreni c’è una striscia: una terra di nessuno nascosta da una siepe o da un fossato. Chi ci capita casca sui cavalli di Frisia o viene colpito dal raggio laser. In realtà le trote nell’acqua sono torpedini. Ogni padrone di casa o proprietario cuce un’etichetta col suo nome sulla porta come uno stemma e al mattino studia il giornale da padrone del mondo”.
E ho cominciato a pensare anch’io che forse, come dice Marco, c’è veramente qualche cosa di cui avere paura che non è la morte perché alla fine credo,con Ray Bradbury, che questa gente “si serva della morte come di una minaccia. La morte non esiste. Non è mai esistita e non esisterà mai. Ma noi ne abbiamo tracciato tante immagini, per tanti anni, cercando di fissarla, di comprenderla, che abbiamo cominciato a considerarla un’entità, stranamente viva e avida. Ma si tratta di un orologio fermo, di una perdita, di una fine, di un’oscurità. Nulla.”.
Ma che bisogna avere paura della paura e che quindi bisogna educare i nostri figli alla “non paura” e contemporaneamente educare noi stessi.
Perché ad ogni paura alla quale concediamo cittadinanza in noi, le diamo pure la possibilità di togliere spazio alla vita e all’opportunità che ci è data di rivendicarla per noi stessi.
Se avremo paura del buio ci toglieremo la possibilità di conoscere la notte, se avremo paura degli altri ci costringeremo in un mondo popolato soltanto dai nostri incubi.
Perché la paura in fondo è ridicola e per questo va combattuta con le armi che il bene detiene. Ed una di queste è il riso. Bisogna ridere in faccia alla paura proprio perché la paura è ridicola. La nuova retorica della paura è ridicola, questi uomini incappucciati, che esibiscono scimitarre pronte a mozzare teste a favore di telecamera, sono ridicoli, e d’altra parte sono ridicoli questi asettici sistemi incorporati all’interno del loro guscio di modernità e di precisione chirurgica ma che alla fine hanno sempre lo stesso scopo, produrre morto, generare paura.
E allora forse una delle materie fondamentali all’interno di questo percorso educativo che dovrebbe condurre alla “non paura” è proprio quella del riso. Che si tratti di una frase di Bakunin o di un attico motto latino, forse oggi, più che dire “noi non abbiamo paura”, dovremmo gridare in faccia alla ridicola paura incappucciata “una risata ti seppellirà”.
Ma poi ho pensato che c’è un’altra cosa di cui dobbiamo avere paura: dobbiamo avere paura di noi stessi, della nostra capacità, anche agita in maniera inconsapevole, di fare il male.
Perché non riesco, anche se mi sforzo non riesco, a pensare che tutto questo sia un male autopoietico, che questo sia un male che nasce in se stesso, che in se stesso trova energia e in se stesso dimora.
Non riesco a credere che un giovane di 18 o di 20 anni possa ritenere significativo , desiderabile, perdere la propria vita andando in giro con un furgone a falciarne innumerevoli altre, se questa sua vita qualcuno non ha contribuito a renderla invivibile, insignificante, impraticabile.
E’ nella produzione di questo nuova specie di essere umano che stanno innumerevoli nostre colpe, personali e collettive, che raccontano di secoli di sfruttamento di uomini per fare stare troppo bene altri uomini, di secoli di schiavitù di ogni genere, di respingimenti alle frontiere, di muri innalzati, del silenzio e del colpevolmente inconsapevole vivere su un pianeta limitato con l’unico obiettivo di strasaziare i nostri appetiti senza mai volersi rendere conto della fame altrui.
Di questo Caro Marco credo che dobbiamo avere paura alla fine perché forse solo così potremo riappropriarci di ciò che Ray Bradubury affida alle parole del suo libro “il Popolo dell’autunno” che per molti è un libro per bambini e che io invece considero uno dei più lucidi trattati sulla paura e su ciò che ancora ci resta per combatterla e scongiurarla.
“Per prima cosa pensiamo alle cose più importanti. Pensiamo alla storia. Se gli uomini avessero scelto di rimanere malvagi per sempre avrebbero potuto farlo, d’accordo? D’accordo. Siamo forse rimasti nei campi con le bestie selvagge? No! Nell’acqua con il barracuda? No! Ad un certo punto abbiamo lasciato la zampa calda del gorilla. Ad un certo punto abbiamo rinunciato ai denti del carnivoro e abbiamo cominciato a masticare erba. Abbiamo messo paglia e sangue, nella nostra filosofia, per molte generazioni. E ci consideriamo più in alto delle scimmie, ma non in alto come gli angeli. Era una buona idea e avevamo paura di perderla, così l’abbiamo affidata alla carta, e vi abbiamo costruito attorno edifici come questo. E abbiamo continuato ad entrare ed uscire da questi edifici, masticando quell’idea, quel nuovo dolce filo d’erba, cercando di capire come era cominciato, quando abbiamo fatto la prima mossa, quando abbiamo deciso di essere diversi. Immagino che una notte, centinino di migliaia di anni orsono, in una caverna accanto al fuoco, uno di quegli uomini irsuti si svegliò per guardare la sua donna e i suoi figli, e temette che potessero morire, sparire per sempre. Allora quell’uomo deve avere pianto. E tese la mano nella notte verso la donna che sarebbe morta, verso i figli che l’avrebbero seguita. E per un poco, il mattino seguente, li trattò un po’ meglio, perché capiva che come lui, recavano in sé il seme della notte. Sentiva quel seme come limo nel suo sangue, scindersi e riprodursi in attesa del giorno in cui avrebbe consegnato il suo corpo alle tenebre. E così quell’uomo, per primo, seppe ciò che noi ora sappiamo: il nostro tempo è breve, l’eternità è lunga. E con questa consapevolezza vennero la pietà e la misericordia, e così imparammo a risparmiare gli altri per i benefici più complessi e più misteriosi dell’amore”.
Dobbiamo imparare a risparmiare gli altri per i benefici più complessi e più misteriosi dell’amore.
Forse alla fine avrei potuto scrivere solo questo. Perché alla fine credo di avere scritto esattamente quello che tu, Caro Marco, avevi già scritto, solo che tu hai usato appena 151 parole. Io molte di più.
Sì, hai reso molto bene l’idea della paura e della necessità di non avere paura.
Credo però non si debba rinunciare all’indignazione, che il credere che l’amore possa mutare ciò che abbiamo intorno non sia sufficiente e che non sia sufficiente cambiare noi stessi per modificare ciò che abbiamo intorno. Cancellare il male con il male? La nostra coscienza e la nostra etica dovrebbe rifiutarlo, ma il bene ha sempre perso di fronte al male e gli dei sono sempre stati sconfitti dai demoni. Solo un’azione comune generata da tutti i membri del genere umano che non sono malvagi potrebbe isolare i malvagi, ma non li cambierebbe e il male è più facile da seguire, che non il bene, perché, da sempre, il bene è considerato una debolezza.
Abbiamo avuto in ogni epoca della storia dei Grandi che hanno mostrato come si opera nel bene, ci sono stati in diverse nazioni e noi li ricordiamo, li portiamo ad esempio, ne ripetiamo le parole, cerchiamo di seguirne le idee, eppure non hanno cambiato la mentalità del genere umano, la loro traccia è una bava di lumaca che si vede riflettere in controluce, che non tutti notano, che molti calpestano. Ogni epoca ha avuto i suoi distruttori, i suoi conquistatori, i suoi predatori e questi sono più famosi, più idolatrati, più conosciuti, più seguiti e considerati eroi. E’ questo il peccato dell’umanità.
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e quindi Cara Neda…cos proponi?
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Vorrei che tutta la gente del mondo, quella di buona volontà e di buon senso, che è ancora rimasta, e spero che sia la maggioranza, “si desse la mano e facesse un girotondo” proteggendo tutti gli inermi al proprio interno. In alternativa, vorrei costringere tutti i malvagi che stanno rovinando questo bel pianeta a spostarsi su quella decina di pianetini che pare hanno scoperto e che sono simili alla terra. Che vadano là, lontano da noi e poi se non riescono a convivere in santa pace, che si massacrino pure tra di loro, lasciando in pace noi.
Lo so che è un desiderio utopistico. Io mi comporto bene, onestamente, come mio marito, lo abbiamo insegnato a nostra figlia. La maggior parte della gente che conosco è brava gente, onesta, laboriosa e tollerante.
Perciò credo, e spero, che la maggior pare della gente sia così. Peccato che i politici, tutti, in tutto il mondo, abbiano dimenticato l’etica e la deontologia. Sono solo dei demagoghi arroganti, salvo pochissime eccezioni.
Buona giornata Francesco, a te e alla tua bella Famiglia.
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cara Neda, sarebbe bello e forse non molto diverso da quell’educazione alla “non paura” e da quel “imparare a risparmiare gli altri per i benefici più complessi e più misteriosi dell’amore” di cui parlo io nel mio post. Buona giornata anche a te.
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E’ vero.
Ti auguro una bella serata.
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Sempre e per sempre le tue parole mi affascinano e hanno il potere di rasserenarmi.
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credo che sia la prima volta che il potere mi piace. Grazie.
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