Esiste una branca della chimica che si chiama Cinetica Chimica. La questione principale da essa studiata è la così detta velocità di reazione.

E’ cosa insospettabilmente interessante che mi intriga oramai da tanti anni, credo da quando, appena quindicenne, lessi un racconto di fantascienza (non ricordo l’autore) nel quale avevano scoperto un composto con tempo di reazione negativo. In sostanza il composto cominciava a reagire ancora prima di entrare in contatto con il reagente, mostrando così di avere incredibili doti di preveggenza.

Perché la cinetica chimica studia proprio questo (ma non solo). Quanto tempo ci sta una cosa a reagire con un’altra? Quali sono le migliori condizioni per la reazione? Cosa rende la reazione più veloce o più lenta?

Io questa storia nel tempo me la sono ritrovata fra i piedi a più riprese, questo frammento di conoscenza mi ha dato a volte delle risposte riguardanti questioni apparentemente non correlate con l’argomento. Il concetto che è più volte ritornato è soprattutto quello della superficie di contatto. Che è sta superficie di contatto? Vuoi fare avvenire velocemente una reazione? Bene, allora sminuzza quanto più possibile ciò che vuoi fare reagire e vedrai che tutto accadrà più velocemente perché così avrai aumentato la superficie di contatto fra i reagenti. Mettiamo che vogliamo fare reagire fra di loro due cubetti con spigoli da un centimetro quadrato. In quel caso avremo una superficie per cubetto di 6 centimetri quadrati e sarà tutta li la superficie di contatto che potranno usare per reagire a vicenda (per la verità nemmeno quella visto che essendo cubetti potranno entrare in contatto uno spigolo alla volta).

Se invece noi prendiamo sti cubetti e li sbricioliamo allora la loro superficie di contatto si moltiplica e di conseguenza aumenta la velocità di reazione. Più spezzettiamo più aumenta.

Restavo senza parole da bambino quando mi raccontavano che negli antichi mulini avvenivano improvvise esplosioni distruttive perché c’era un’incredibile quantità di microscopiche particelle di farina nell’aria che in condizioni normali non avrebbe reagito con l’ossigeno, ma considerata l’enorme superficie di contatto esposta, si attivava, magari catalizzata da una scintilla, un’ossidazione esplosiva.

Io stesso, per esempio, pratico l’aumento della superficie di contatto ogni giorno nella gestione del mio giardino. Non tolgo foglie, non porto via alcun residuo. Utilizzo piuttosto il taglia erba a mo’ di trituratore. Sminuzzo, trito, riduco a pezzetti minuscoli. Do così la possibilità alla natura di restituire in tempi brevi materia e acqua ai cicli, e al mio giardino di recuperare in fretta sostanza organica.

E come ogni volta che parlo di fisica, di chimica, di agronomia, finisce per scattare la metafora.

Ma questa storia della superficie di contatto non dovrebbe diventare una specie di concetto di riferimento per ognuno di noi? Se davvero vogliamo incontrare gli altri, reagire con il mondo e con le persone, entrare in relazione profonda per unire il nostro potenziale chimico a quello degli altri, per provare a tirare fuori altri composti, non è opportuno che ognuno di noi metta al bando atteggiamenti monolitici? Non è il caso che ognuno di noi lasci da parte la propria forma da parallelepipedo e provi a sbriciolarsi, a offrirsi alla relazione in tanti minuscoli pezzetti che lo rendano più reattivo?

Non ci andrà di mezzo sicuramente la mia identità se sarò capace di aumentare la mia superficie di contatto offrendo all’altro l’area infinita dei miei pensieri, delle mie sensazioni, dei miei desideri, dei miei sogni.

11 pensieri su “Superficie di contatto

  1. Appena rientrata da una ritemprante pausa estiva, questa idea di “sbriciolarmi” per migliorare la mia reattività mi piace…speriamo bene! Non vorrei provocare esplosioni!!! Grazie Fra

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