La storia la fanno gli alberi.
Non lasciamo in eredità case, ma possiamo lasciare in eredità alberi.
I sogni vegetali di alcune poesie, di alcuni racconti, di alcune canzoni non sono li per caso, non sono stati trasportati li per sollecitare quell’ispirazione, per permettere quella storia. Sono li piantati, sono li con le radici immerse nel terreno. Sono li perché la natura ha voluto così oppure perché un uomo in quel luogo ha posto il seme (che poi, forse, alla fine, è la stessa cosa).
La storia la fanno gli alberi.
Il fico sotto la terrazza a Ramo (che già il nome di quel luogo la dice lunga) dove mi arrampicavo sentendomi coraggioso ed intrepido a 70 centimetri da terra.
I mandorli al confine del vigneto, che definivano la frontiera, tracciavano il limite imposto dai grandi al nostro infantile entusiasmo esplorativo.
Il piccolo pero sulla terrazza, il “pero settimmucca” perché delle sue perine minuscole potevi riempirtene la bocca fino a metetrcene sette.
E poi il cipresso in fondo alla trazzera, vicino alla fonte, del quale contendersi i galbuli più piccoli che chissà per quale fantasia bambina erano per noi i più preziosi.
La scoperta delle querce in quel lontano che è già “amazzonia” che è già “giungla” alla fonte della Manca, in una sinistra relativa da raggiungere sulla groppa dei muli a spronare vacche pigre.
I nespoli di Trabia che mi donarono prima il il fiore e poi il frutto ma a lungo mantennero il segreto più incredibile: che il miele fatto dalle api con i loro firoi mantiene intatto il profumo del fiore.
Il pioppo tremulo piegato sul Sosio a fare da ponte e ad unire due rive che per me rappresentavano il bambino che non sarei più stato e il ragazzo che mi accingevo ad essere.
I pini mughi acquattati sul ghiaione a togliere il respiro in quella salita che mi avrebbe aperto il cuore alle alpi, e che una volta entrate non sarebbero uscite mai più.
Il mogano infinito, dritto a toccare il cielo in quella giungla di Sarawak,. attorno al quale costruimmo la nostra torre di avvistamento ornitologica, e il suo fratello ormai marcito da una morte sileziosa che quasi mi uccise.
Il grande sicomoro davanti alla scuola di Lukani sul quale ci arrampicammo tutti ed io emozionato dal miracolo di trovarne uno dove non me lo aspettavo e zitto al pensiero di quel bambino che avevo lasciato in Italia con quel nome perfetto per il sicomoro. E non piansi allora solo perché stringevo a me sua “fratello” più grande e sapevo che sarei tornato ad arramnpicarmi su quell’albero anche con lui, di nuovo con loro.
I 500.000 alberi piantati con il nostro progetto di riforestazione in Tanzania. Alcuni, pochi piantati con le mie mani, tutti piantati con il nostro cuore. Belli, li, che svettano nella luce trasparente dell’altopiano e che costituiscono promessa di futuro.
L’enorma quercia alla Portella del Vento sotto la quale per alcuni anni festeggiai i miei compleanni ed ogni volta veniva la volpe a mangiare il formaggio dalle nostre mani.
E tanti altri ancora: tutti gli alberi del Montana sotto i quali mi sono fermato riposare, e quelli dello Sciliar che mi hanno insegnato il gusto delle fragole, il vecchio melo di Pacha Mama che mi fa male ancora oggi ricordare, i lecci di Pantelleria distrutti dal fuoco dell’umana stupidagine, i faggi di Piano Cervi sotto i quali una persona cara afferrò al volo la mia vita che sembrava voler sfuggire e me la restituì e con essa il senso delle cose..
E oggi il vecchio caco, e il giovane, e il gelso immenso che aspetta solo di accogliere fra i suoi rami una casa per i bambini, e il grande ulivo, gli agrumi modesti e dorati, il nespolo dai frutti dolcissimi, gli invadenti banani, gli albicocchi con il loro candore primaverile, i miei “figli” lecci, il gelso ornamentale che è “tenda apache” per i bambini, tutti incerchio, a formare quel circolo magico che ci protegge senza che noi ce ne rendiamo nemmeno conto.
La storia la fanno gli alberi. La mia storia l’hanno fatta gli alberi.
Vi prego Veronica, Sorelle, Bambini miei, Amici Cari, Compagni di Cammino, mi aiutate a ricordare gli altri alberi che di sicuro hanno fatto la mia storia, che hanno fatto la vostra e che in questo “catalogo” ho dimemticato?
Gli alberi ci aiutano a stabilire un contatto con il potere della natura,
ci danno gli strumenti per rilassarsi,
rafforzarci,
ci riempiono di energia
e sono portatori di messaggi della madre terra.
Splendido il tuo post.
Davvero.
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sono anche gli esseri che amo maggiormente dopo l’acqua. Grazie per il tuo complimento.
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Il gigantesco leccio sulla discesa per Cala Goloritze in Sardegna. E la quercia aperta nel cuore dove ci siamo nascosti più volte nel sentiero per il santuario di Rifesi. E poi tutti gli alberi su cui hai steso ad asciugare i vestiti bagnati. Il Gingko sottile che ci regala i suoi ombrellini verde intenso…
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grazie Amore mio…ho anche dimenticato il giovane noce del nostro giardino e chiosò quanti altri
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Non mi toccate gli alberi! Li abbraccio, ci parlo, ho fatto cadere foglietti di carta con i miei pensieri nelle loro radici, mentre le ricoprivo di terra…non me li toccate, sono le sentinelle della mia vita.
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toccare? Solo contemplare…ma anche toccare in senso buono…
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