C’è un balcone nella mia camera da letto dal quale la mattina entra la luce del sole. A volte mi sento una specie di Douglas Spaulding in cima alla sua torre nella casa dei nonni, nel mio “autunno incantato“.

Difficilmente lascio che sia la sveglia a riportarmi a galla dal sonno. Mi piace vedere come cambia la luce nella stanza, percepire i rumori della casa che ancora dorme, cominciare a fare qualche programma per il giorno.

Ma stamattina ho aperto gli occhi proprio grazie alla sveglia. Mi sono girato alla mia sinistra e ho visto subito che fra me e Veronica c’era Cesare.

Non è un fatto strano, non è un fatto raro. Trova spesso, durante la notte, scuse per farsi recuperare dal piano di sotto e per conquistare la vetta della camera genitoriale.

Spesso adduce come scusa qualche brutto sogno (che poi durante la colazione racconta con dovizia di particolari sempre molto pulp e splatter), a volte è sufficiente che dica “voglio stare un poco con voi” per fare cedere i teneri cuori di mamma e papà che, anche in forza del fatto che pesa come una piuma, lo estraggono dal groviglio di piumoni e peluche con i quali si accompagna nelle sue notti, e lo conducano presso l’ex talamo nuziale.

Stanotte il tutto deve essere accaduto senza che me ne accorgessi.

Fatto sta che al risveglio il microbo me lo trovo a un palmo del mio naso ancora dormiente, arrossato dal calorino familiare e profumato dei suoi effluvi infantili.

Il giorno nemmeno arriva che già ti presenta il conto e il suo abituale imperativo “dobbiamo sbrigarci!”.

Allora utilizzo contro di lui l’arma che spesso lui adotta contro di noi (soprattutto il sabato e la domenica quando noi conteremmo di svegliarci un po’ dopo le 6,30, orario al quale siamo ormai abituati durante la settimana), la frase: “Papà è mattina!”.

E quindi con voce molto gentile e carezzandogli con il dorso di un dito un guanciotto (che sono talmente piccoli che spazio per una mano non ce ne sarebbe) gli sussurro: “Cesare è mattina!”. Lui senza aprire gli occhi e con voce impastata dal sonno mi risponde: “lo so”. Gli chiedo a quel punto: “come fai a saperlo se nemmeno hai aperto gli occhi?”. E lui: “lo sento dal battito del mio cuore”.

Nell’arco di un giorno e di un post il killer si è trasformato in un poeta.

14 pensieri su “Poesia fa rima con anatomia

  1. i bambini ci regalano emozioni incredibili! come l’altro giorno la piccola Giuliana quando canticchiavo cucinando: nonna, lo sai che per essere vecchia canti bene? che tesoruccio, vero? 😡

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      1. si, hanno una concezione di vecchiaia e morte un po’ confusa. I miei piccoli mi chiedevano visto che ero vecchia se dovevo andare in ospedale e morire, un’altra volta guardando una fotografia dei miei genitori mi chiedevano dove fossero e come mai non li avevano mai visti e quando gli ho detto che erano morti hanno esclamato: poverini chi li ha uccisi? 😂😂😂

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