Zaccheo è un bambino. Spesso io e mia moglie lo dimentichiamo perché credo che sia un bambino molto assennato e saggio per la sua età.
Resta il fatto che si tratta di un bambino. E i buoni per il calendario dell’avvento elaborati da sua madre credo che testimonino questo fatto.
Forse rispetto alla maggior parte degli altri bambini ha qualche senso di colpa in più che lo portano a verificare meglio la bontà delle proprie azioni. Dopodiché anche lui è pasticcione, disordinato, spesso svogliato, avesse a disposizione un gioco elettronico, un tablet, o qualche cosa di simile, ci passerrebbe la giornata davanti. Poi, come tutti i suoi coetanei, nutre un’avversione illimitatta nei confronti dell’acqua da utilizzarsi con finalità sanitarie. In poche parole: se dipendesse da lui non si laverebbe mai, o comunque fra un lavaggio e l’altro intercorrerebbero tempi molto lunghi.
Per questa ragione e per quelle esposte precedentemente, nonostante si lavori già da qualche tempo per produrre forme di emancipazione del ragazzo, sua madre si pone sempre nel ruolo di controllore per accertarsi che il tipino faccia veramente ciò che promette.
I controlli a questo punto però, sia perché a questa storia dell’emancipazione ci crediamo veramente, sia perché i nostri tempi familiari sono sempre risicatissimi, si limitano a “controlli a campione” che certe volte fanno si che qualche cosa sfugga.
E’ proprio quello che è accaduto stamattina. Dopo la nostra lunga cavalcata mattutina per raggiungere la scuola, appena sceso dalla moto e tolto il casco mi accorgo che il mio ragazzo al risveglio non ha prestato particolare cura all’igiene del viso (e preferisco in quel momento evitare di pensare a quali alte parti del corpo ha prestato la stessa, scarsa, attenzione).
Un paio di sbaffi sulle guance della serie “salivazione notturna” e un evidente alone fra il labro inferiore e il mento in stile “anche oggi ho vinto io nella quotidiana lotta fra l’uomo e i cereali al cioccolato”.
Da padre tento di recuperare in extremis se non l’igiene quanto meno l’apparenza con il famoso metodo “mamma gatta” che prevede l’uitlizzo di dita e saliva paterna mentre il giovane si dimena in stile indemoniato.
Il tutto avviene ad un incrocio molto trafficato a pochi metri dall’ingresso della scuola.
E mentre io abrado la parte a questa specie di anguilla, che cerca di sgusciare in tutte le direzioni, sento provenire da dietro un “senta”.
Mi giro. Il colpo d’occhio di sicuro mi avrà permesso di cogliere poche cose rispetto a quelle, che con il senno del poi, avrei voluto registrare.
In prima fila all’incrocio, ferma in attesa che il semaforo divenga verde, c’è una cinquecento azzurra. Alla guida un signore che mi sembra abbastanza dimesso, dentro la macchina regna la confuzione tipica di quelle auto utilizzate come seconde case, se non addirittura come prime.
Il signore si sporge dal finestrino offrendomi una salviettina inumidita. La prendo sentendomi invadere da un’infinita gratitudine. Lui mi dice: “se gliene servono altre me lo dica che ne ho tante”. Infatti sul cruscotto dell’auto c’è un pacchetto aperto che sembra pieno.
Mi giro per completare l’opera di pulizia. Io, che chi mi conosce sa quanto odio le salviette umidificate, ho la sensazione di tenere in mano il Sacro Graal.
Tutto avviene troppo in fretta. Vorrei interloquire con questo uomo, vorrei vederlo meglio in faccia, vorrei vedere meglio la sua macchina, capire di più, ringraziarlo adeguatamente.
Quando finisco di pulire Zaccheo il verde è già scattato e io non ho nemmeno il tempo di salutarlo.
Nel suo gesto c’è tutto: la partecipazione consapevole ad una specie, l’esistenza in rete che va al di la di qualuqnue altra rete che l’uomo possa creare, la naturalezza del dono, l’allegra e costruttiva partecipazione alla condivisa pena del giorno. C’è un uomo che, qualunque sia la sua posizione nella struttura sociale, riconosce il suo simile per quello che è e si sente, senza pensarci su due volte, di fare una cosa che è dirompente e rivoluzionaria: lo aiuta.
Senza fiato e senza parole, mentre ancora un altro semaforo scatta, quello che dà questa volta il via libera a Zaccheo, che già infatti comincia ad attraversare, fermo il mio bambino da dietro, afferrandolo dalle spalle e chinandomi verso di lui gli dico all’orecchio: “non scordarlo mai quello che hai visto, mai Zaccheo, in tutta la tua vita”.
E’ andato via senza guardami ed io sono risalito sulla moto per rientrare nel tempo corrente.
Ma sei un grande!
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mi sa di complimento…grazie!
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Siete una scena comica !!!
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un po’ strani lo siamo effettivamente.
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Hai incontrato un angelo allora! L’angelo custode delle salviettine.
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per la verità è esattamente quello che ho pensato io…
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Bellissimo!
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grazie veramente.
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.. meravigliosa storia fra… mi rivedo spessissimo anch’io sia nel “controllore” che nella pulizia da gatta… ma sul finale mi hai stremato il cuore!❤
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stremato il cuore…come parole che a volte riteniamo negative possono diventare bellissime se usate diversamente. Grazie.
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Fazzoletti, caramelle per la tosse, bicchieri di acqua mi sono stati offerti più volte: ho incontrato molti angeli sconosciuti che hanno alleviato le mie difficoltà. Una volta, quando ho voluto anche io fare l’angelo, non mi è andata bene: una nonna ha rifiutato una salvietta disinfettante sigillata , pur avendo una nipotina “ferita” al ginocchio 😦
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e infatti nella relazione il sapere donare vale almeno quanto il sapere ricevere…
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C’è ancora “umanità”, rara, ma c’è.
Zaccheo lo ricorderà…
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lo spero con tutto il mio cuore…
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L’ha ripubblicato su adoraincertabloge ha commentato:
Avevo dimenticato questa storia. Vale la pena ripubblicarla.
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