Ho dichiarato in premessa a questo blog, che si avvia a compiere il suo primo anno di vita, che una delle ragioni che mi ha motivato nel crearlo è stata quella di farne una specie di “Scatola del Tempo” che le persone care, e soprattutto i miei figli, possano ritrovare nel tempo in cui non sarà più possibile “l’interlocuzione diretta”.

Mi piacerebbe che il dialogo che segue, quasi identico, si svolgesse fra me e il mio “William Halloway” nei mesi a venire. Mi piacerebbe che un incontro di quel genere ci fosse veramente nel tempo in cui abitiamo entrambi la stessa dimensione spazio temporale.

Se così non fosse, mi andrà anche bene se, in un tempo imprevedibile, Will-Zaccheo ritrovasse questa pagina bellissima di Ray Bradbury tratta dal suo “Il Popolo dell’Autunno”, o meglio ancora il libro completo, e la leggesse come se ne stessimo discutendo assieme in quel momento.

Per il mio piccolo “Janes Nightshade” invece ci sono già state altre pagine, e suppongo che altre ce ne saranno.

<<…Così, mentre sarebbero dovuti salire, non riuscivano a separarsi da quel momento che prometteva altre notti, non così lontane, in cui l’uomo e il ragazzo che diventava uomo avrebbero potuto quasi cantare. Così fu Will che disse alla fine cautamente:

“Papà? Sono una brava persona?”

“Credo di si. Ne sono sicuro”.

“E questo servirà quando verranno davvero i tempi duri?”

“Servirà”.

“Mi salverà se avrò bisogno di essere salvato? Voglio dire, se sarò accanto a gente malvagia, e se attorno, per miglia e miglia, non ci sarà brava gente, allora…”.

“Servirà”.

“Non basta, papà!”.

“Non è una garanzia per il tuo corpo. Ma per la pace mentale…”.

“Ma qualche volta, papà, non hai tanta paura che persino…”.

“…persino la mente perda la pace?”. Il padre annuì, con aria imbarazzata.

“Papà,” disse Will, con un filo di voce “tu sei una brava persona?”.

“Con te e con tua madre sì, cerco di esserlo. Ma nessun uomo è un eroe per se stesso. Ho vissuto tutta la vita con me stesso. Will. So di me tutto ciò che vale la pena conoscere….”.

“E, tutto sommato…?”.

“Tutto sommato? Mentre gli altri vanno e vengono, io per lo più me ne sto quieto, e mi sento a posto.”.

“E allora, papà,” chiese Will “perché non sei felice?”.

“Senti, da quando in qua tu pensi che essere buoni significhi essere felici?”.

“Da sempre”.

“D’ora innanzi ricorda che è diverso. Qualche volta l’uomo che sembra il più felice del mondo, con il sorriso più ampio, è quello che porta il maggior carico di peccato. Ci sono sorrisi e sorrisi; impara a distinguere la verità buia da quella luminosa. Colui che abbaia come una foca, che urla le sue risate, quasi sempre sta fingendo. Se l’è spassata ed è colpevole. E gli uomini amano il peccato, Will, oh, quanto lo amano, non dubitarne mai, in tutte le forme, in tutti i colori, in tutti gli odori. Vi sono momenti in cui sono i truogoli, non le tavole, ad attirare i nostri appetiti. Ascolta un uomo che loda gli altri a voce troppo alta, e chiediti se non è appena uscito da una stia. D’altra parte quell’uomo infelice, pallido, chiuso, che sta passando, che appare tutto colpa e peccato, spesso è un brav’uomo con la B maiuscola, Will. Perché essere buoni è un impegno spaventoso; gli uomini vi si affaticano e qualche volta si schiantano. Io ne ho conosciuto qualcuno. Fai doppia fatica ad essere un agricoltore che il suo maiale. Credo che sia lo sforzarsi di essere buoni che finisce per aprire la crepa nel muro, una notte. E anche un uomo di alti principi…qualche volta basta che gli cada addosso un capello per piegargli la spina dorsale. Non può starsene tranquillo, non smetterà di tormentarsi se per un soffio decade dallo stato di grazia.

“Oh, sarebbe magnifico se potessi essere buono, comportarti bene, senza pensarci sempre. Ma è difficile, vero, con l’ultima fetta di torta di limone che aspetta nella ghiacciaia, nel mezzo della notte, ma tu te ne stai sveglio a pensarci, immerso nel sudore, eh? E’ necessario che te lo dica? Oppure, in una calda giornata di primavera, a mezzogiorno, tu sei incatenato al tuo bando di scuola, e il fiume scorre, fresco, verso la cascata. I ragazzi sentono l’acqua scorrere anche a miglia di distanza. E così, minuto per minuto, ora per ora, per tutta la vita, non finisce mai, tu devi scegliere in questo secondo, e poi il secondo successivo, e poi il seguente, essere buono, essere cattivo, ecco cosa dice il ticchettio dell’orologio, ecco cosa ti dice. Correre a nuotare, o restare a sudare, correre a mangiare o restare affamato. Così tu resti, ma una volta che sei rimasto, Will, conosci il segreto, vero? Non pensi più al fiume. O alla torta. Perché, se lo fai, finirai per impazzire. Somma tutti i fiumi in cui non hai nuotato, tutte le torte non mangiate, e quando avrai la mia età, Will, avrai perduto molte cose. Ma poi ti consoli pensando a tutte le volte che avresti potuto annegare, a tutte le volte che avresti potuto soffocarti con un boccone di torta, Ma poi, per pura vigliaccheria, credo, forse ti freni troppo, aspetti, giochi sul sicuro. Guarda me: mi sono sposato a trentanove anni, Will, trentanove! Ma ero così occupato a risollevarmi da tutte le mie cadute, che pensavo di non potermi sposare fino a quando non mi fossi vinto davvero e per sempre. Troppo tardi scoprii che non si può aspettare di diventare perfetti, devi andare a cadere e rialzarti. Così, alla fine, alzai gli occhi da quella grande lotta con me stesso, una sera quando tua madre venne in biblioteca a prendere un libro, e invece prese me. E allora capii, e così prendi un uomo per metà cattivo e una donna per metà cattiva e metti assieme le loro due metà buone e hai un essere umano completamente buono. E quello sei tu, Will, per me. E la cosa strana e triste, figliolo, è che anche se tu sei sempre a correre sul limitare del prato, e io sono sul tetto, a usare il libri come tegole, a paragonare la vita alla biblioteca, io ho capito ben presto che tu eri diventato più saggio di quanto io lo sarò mai…”.

La pipa di papà si era spenta. Si interruppe per vuotarla e ricaricarla.

“No, papà” disse Will.

“Sì” disse suo padre “sarei uno sciocco se non sapessi di essere uno sciocco. La mia unica saggezza è questa: tu sei saggio”.

“Strano”, disse Will dopo una lunga pausa “questa notte tu mi hai detto più di quanto io non abbia detto a te. Ci penserò sopra. Forse ti dirò tutto, a colazione. D’accordo?”.

“Io sarò pronto, se lo sarai tu”.

“Perché…voglio che tu sia felice, papà”.

Lo irritavano le lacrime che gli spuntavano agli occhi.

“Sarò felice, Will”.

“Farei e direi qualsiasi cosa che possa renderti felice, papà”.

“Willy, William” papà riaccese la pipa e guardò il fumo dissolversi dolcemente “dimmi soltanto che vivrò per sempre. Questo andrebbe bene.”.

La sua voce, pensò Will, non lo avevo mai notato. Ha lo stesso colore dei suoi capelli.

“Papà” disse “non essere così triste”.

“Io? Io sono un uomo triste per natura. Leggo un libro e mi rattrista. Vedo un film: mi rattrista. I passatemi? Mi sfiniscono”.

“C’è qualcosa” disse Will “che non ti rattristi?”.

“Una cosa. La morte.”

“Caspita!” Will trasalì. “Pensavo che ti rattristasse!”.

“No!” disse l’uomo dalla voce identica al colore dei suoi capelli. “La morte rende triste ogni cosa. Ma la morte, in se stessa, fa soltanto paura. Se non ci fosse la morte, tutte le altre cose non verrebbero guastate.”…>>

11 pensieri su “Padre e figlio

  1. Eppure non lo avrei pensato in tutto e per tutto vicino al tuo modo di vedere. E’ bello ma c’è per me qualcosa che stride. Io penso, come Will, che le persone realmente buone, o meglio, quelle che combattono ogni giorno per esserlo (perché alla bontà totale non credo, penso che un lato oscuro ci sia in tutti) siano anche felici. Che non vuol dire il sorriso più ampio del mondo. Bisogna, certo, distinguere la felicità vera da quella finta, le risate urlate da quelle vissute dentro (come lo stesso vale per le lacrime e la tristezza). Ma se fosse proprio la morte a rendere tutto più vero, se la temporaneità, lungi dal guastare le cose, ne aumentasse il valore? Difficile e fa paura sì, eppure me lo chiedo…

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    1. hai individuato nel frammento esattamente i miei due elementi di dubbio e riflessione. Anch’io penso che ci possano essere persone buone che riescono ad essere abbastanza felici. Credo però che questo dipenda molto dal tempo e dalla contingenza nei quali quella persona si trova. Alcune sono talmente fortunate da vivere in un tempo in cui un buono può anche essere felice. Mi chiedo però quanto frequentemente questo accada nel nostro pianeta. L’altro dubbio riguarda proprio il senso da attribuire alla morte. E anche li penso come te che se da un lato la sua idea guasti tutto, d’altra parte nel suo restringere l’orizzonte temporale è l’unica che permette di dare un giusto valore alle cose. Sul tema “che senso ha essere immortali” vale la pena di leggere “Tutti gli uomini sono mortali” di Simone De Beeauvoir.

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  2. Forse il tuo post più intenso e toccante, intimo e profondo. Risposte solo apparentemente leggere e facili da trovare ma che lasciano trapelare un amore e una sensibilità immensi.
    Un post scritto proprio con tanto cuore.
    Buon fine settimana, Francesco

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