Mia madre mi ha accompagnato per le prime 10 estati della mia vita. Poi è andata via. Per alcuni anni non è più stata con me. Non c’era più.

Poi è tornata. Ma aveva un volto e una voce diversi. Aveva un nome diverso: prima si chiamava Graziella e poi Silvana. Anche il suo carattere era diverso e non è stato facile accettarla, non è stato facile riconoscerla.

Provo ad immaginare quanto doloroso sia stato per lei il mio quotidiano proclamato distacco di adolescente difficile e, poi nel tempo, di ragazzo e di uomo non sempre pronto ad accorciare le distanze, a dare ragione dei sentimenti.

Lei ha continuato a fare quello che fanno le madri: ha agito la sua maternità con fiducia cieca in ciò che può la vita al di la di ciò che vogliono i viventi.

Ha preso me e mia sorella, figli di quell’altra lei, e ci ha accompagnati sempre tenendosi alla distanza che ognuno di noi aveva scelto di porre fra se e lei, ha dato alla luce un’altra figlia e un’altra ancora ne ha adottato nel caso in cui qualcuno potesse nutrire qualche dubbio circa la sua fertilità di donna taciturna, ferma, sorridente.

E così sono passati gli anni accanto a questa donna che non ho mai chiamato mamma e che, solo adesso che sono nati i miei figli, ho il coraggio di chiamare “nonna Silvanina”.

E oggi per la prima volta Zaccheo è tornato da scuola solo fino a casa di “nonna Silvanima” (che è vicina alla nuova scuola che frequenta solo da qualche giorno). Tutto era organizzato nel dettaglio. Io lo avrei preso all’uscita, le ultime indicazioni di un percorso breve ma studiato tante volte, “attento a quell’attraversamento…al semaforo svolta a destra…io ti aspetto davanti casa di nonna”. Lo ho visto arrivare, dopo un poco, trafelato. La strada gli era sembrata lunga ed è così per tutti i percorsi che decidiamo di compiere da soli.

Siamo saliti assieme a casa di nonna Silvanina che ci ha accolto davanti alla porta. E già nel pianerottolo si sentivano profumi buoni. Siamo entrati e in cucina c’era apparecchiata una tavola che mi veniva da piangere per quanto era bella, e piena d’amore, e di senso, e di cura. Le lasagne nella teglia buona, e i bicchieri di vetro quelli colorati con il gambo, e le frittate proprio come le faceva lei, quando aveva un altro nome, con le foglie di menta e tanto pan grattato a renderla soffice. E come tributo a me: una ciotola piena di biscotti reginella.

Non mi sono fermato a pranzo con loro. Ho accettato il dono di un panino con la frittata e sono andato via.  Perché quello era il loro posto, il posto in cui un nipote e una nonna stanno assieme davanti un piatto fumante di lasagne, senza troppe parole magari, per celebrare un tempo che attraversa il tempo, che non riconosce altro legame che non sia quello dell’amore. Due estremi che ho congiunto in uno spazio che non mi appartiene.

E io me ne sono andato in silenzio e a testa bassa, come faccio sempre ogni volta che non so manifestare fino in fondo il mio amore.

43 pensieri su “A Mia Madre

  1. Non so se ho capito la storia.
    Mio padre ha una nuova famiglia, e io fatico anche solo pensare di costruirne una mia, anche perché penso a come potrei spiegare questa cosa ad un possibile figlio, tre nonne, qualcosa non torna. Ecco. Anche io spesso esco dalla casa di mio padre con la testa bassa, anche io faccio fatica a capire perché non riesco ad accettare e capire fino in fondo.
    Mi è piaciuto questo articolo.

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    1. A me invece adesso, dopo tanti anni, mi sembra di avere capito…se non fino in fondo almeno abbastanza. E questa donna, questa che mi ha accompagnato per 40 anni (che è la seconda moglie di mio padre) è mia madre almeno quanto quella che mi ha generato. Ma ogni storia naturalmente è una storia a se. Grazie per il complimento.

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      1. La tua penna è felice perchè sei in grado di raccontare con leggiadrìa da gazzella tranche de vie: molto intense senza indulgere nell’autocompiacimento,.
        Credimi è dote rara.
        L’apprezzo parecchio.
        Zaccheo è un bimbo molto fortunato con un padre che sa mettersi da parte.

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    1. dentro di me resta però la sensazione che sia un modo un po’ “vigliacco” di esprimere i propri sentimenti. Potrei dire che sono fatto così ma questo non mi “salva”. Eppure ieri ho veramente sentito che si chiudeva un cerchio, che una ferita alla fine (per quanto possibile) era stata rimarginata e ho avuto bisogno di scriverlo.

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      1. Quante volte ho sentito, nella mia vita, che si stava chiudendo un cerchio…
        Tu sei come sei…io ho faticato ad accettarmi…
        A me pure spesso riesce arduo mettermi in gioco: è come rischiare.
        Non sei affatto “vigliacco”…

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  2. Ti lascio qualcosa che dovrebbe piacerti.
    Non è mia… ma di Giancarlo Milanesi, psicologo e sociologo scomparso nel 1993.

    Ci sono esodi in cui i piedi non camminano/ nella terra asciutta della certezza, / ma nascono convulsamente/ tra le onde del dubbio e della sofferenza. Ci sono esodi in cui l’acqua che ti arriva alla gola – sei solo a metà/del Mar Rosso – non ti lascia vedere sull’ altra sponda/ nient’altro che arido deserto,/e qualche rara oasi dove poter srotolare la tenda e tirare il fiato.

    Eppure ci sono più promesse di resurrezione/ in questi vagabondaggi rischiosi nella contraddizione tortuosa della nostra esistenza/ che sui rettilinei improbabili del successo, / se non altro lì, e solo lì, dopo aver ingoiato/ tutta l’amarezza del mondo e, dopo aver approdato boccheggiante alla spiaggia della speranza,/ ti è dato di riconoscere che il risorgere è un dono,/ e che una nuova vita è possibile solo dove la morte è stata spietata.

    Per questo so che le tue pasque/ saranno giorni di liberazione.

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  3. In un tempo come questo…cosi povero per me di certezze affettive e sconvolgimenti sentimentali che coinvolgono in primis la mia bambina leggere questo mi da la speranza che anche per me e per mia figlia chissà…certo di nonna Silla una ce n’è e ai giorni nostri è pura utopia ma bisogna credere e sognare per continuare a vivere…brava donna brava nonna e brava mamma a quanto pare!!!e tu cognato sempre a farci commuovere!!

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