Lili è una volontaria ungherese che sta portando avanti da qualche mese il suo servizio volontario europeo all’interno della mia associazione. Lo fa nell’ambito di un progetto che si chiama WAAM – We are all migrants, che prevede una serie di attività in collaborazione con alcuni centri di prima accoglienza a Palermo e a supporto della Caritas di Palermo durante gli sbarchi che si susseguono a ritmo costante nel porto della città.
Lili parlava già bene l’italiano prima di arrivare in Sicilia e nei giorni scorsi ha voluto condividere con noi, attraverso lo scritto che segue, la sua esperienza. Non ho voluto cambiare alcuna parola, nemmeno per correggere eventuali errori. Non credo d’altra parte che abbia nemmeno senso commentare quello che Lili scrive.
Piangevo perché non avevo le scarpe, poi vidi un uomo senza piedi.
Ormai tre volte sono stata al porto. È la cosa più commovente e più esaltante che abbia fatto negli ultimi mesi. Siamo là ad aiutare quando arrivano le navi con le persone che fuggono dalla loro casa e che trovano nei gommoni sul mare… Sì, quello che vediamo proprio nella tv.
La prima volta è stata scioccante. La nave stava già ormeggiando così che le persone a bordo potessero scendere. Mille persone c’erano, 95% di colore nero, dall’Africa nera. Non dalla parte nord, da molto più a sud, chissà da quanto tempo erano per strada…. Erano là, in piedi, „compatti” in un vestito bianco, come astronauti in una scatola di sardine. Mille facce guardavano verso di noi, stanchi morti ma forse con sollievo. Un’immagine assurda che non dovrebbe essere realtà. Sul mare aperto il sole è sicuramente insopportabile. Quando la nave finalmente si è fermata, hanno fatto scendere prima le donne e i bambini.
Questo è stato il secondo, più grande shock. Donne completamente stanche che quasi non riuscivano a camminare, vicino a crollare. La maggior parte di loro incinta. E sapevamo, tutti sapevano che erano incinte perché sono state violentate durante il viaggio. Qualsiasi persona che aveva più potere di loro. Cioè qualsiasi persona perché una donna, soprattutto nella loro cultura, durante un viaggio del genere, è milioni di volte più esposta agli uomini – praticamente possono fare quello che vogliono con le donne. E non riesco a capire come può essere così tanta sofferenza nel mondo – certo, questo ora sembra così banale, romantico ma semplicemente avevo questi pensieri nella mente vedendo la scena.
Perché quello che vediamo nella tv, sentiamo alla radio, leggiamo nel giornale e su internet, l’ho sperimentato sulla mia pelle, faccia a faccia. Ho visto quello che prima avevo visto solo su uno schermo e potevo tenermi lontana, perché i film di azione ci hanno già abituato a questa vista. Stavolta era diversa: non c’era uno schermo tra di noi. Ho cominciato a piangere più volte, era così difficile capire, concepire. Ma alla fine, veramente, non ho pianto, l’ho represso. Devo piangere io mentre loro, queste donne cos’hanno vissuto?
Mi sono vergognata, penso, di piangere anche se era difficilissimo non far uscire le lacrime soffocanti, mi facevano così male alla gola. Continuamente. Non riuscivo, come donna, non sentire il loro dolore. E quanti ragazzini minorenni senza adulti…!
Ero così, per un poco, poi hanno cominciato a far scendere gli uomini. Non è colpa mia, sono una donna, e questo era più sopportabile. Loro sono più forti fisicamente quindi tollereranno le prove meglio – fisicamente…
Prima di loro però scendevano i malati. Abbiamo ascoltato una piccola presentazione di questo un po’ di tempo fa: la Croce Rossa che sale sulle barche e esaminano subito le persone, gli danno un „braccialetto” in base al loro stato, se sono malati o no. Se hanno la scabbia o altro, se sono incinte, se hanno famiglia (loro non vengono mai separati), poi a Palermo fanno scendere le persone secondo questi criteri.
Come ho saputo, ormai non funziona così come alcuni anni fa che sono i trafficanti che guidano le barche. No, adesso anche loro sono immigranti che vogliono venire in Europa, vengono scelti dalla massa e costretti ad imparare velocemente a guidare. E poi tutte le persone vengono affidate al mare. E a Dio. Tutto questo è illegale. Assoggettamento e vulnerabilità assoluta. E io ora sto scrivendo queste parole anche se non ho del tutto idea del loro vero significato… Però com’è organizzata la loro accoglienza qua in Italia, dal punto di vista della società civile e anche delle autorità… è meravigliosa. Possiamo solo rispettare tutti, mettendo da parte tutti gli altri errori della mentalità italiana, del sistema politico e burocratico dell’Italia. Certo, qua questa cosa è un’esperienza di più di dieci anni, non uno come nel mio paese dove per colpa del governo e della comunicazione ufficiale tutti hanno pregiudizi e paura dello sconosciuto. Dello sconosciuto che non è affatto pericoloso. E così nasce l’odio…
Strano che noi, tutti gli esseri viventi della Terra quanto velocemente ci adattiamo ad una nuova situazione, condizione, ad una vista nuova come se il pericolo e l’orrore fosse normale. Ma probabilmente è (pure) questo che aiuta a sopravvivere alle cose terrificanti di ogni giorno che ci creiamo noi.
Appena queste persone (!) scendono dalla nave tocca a noi, alla Caritas di Palermo e ai volontari. Prima gli diamo delle ciabatte (perché arrivano senza scarpe: anche se non sanno neanche nuotare le scarpe li farebbero affondare più velocemente, e per giunta sono tanto peso in più. Quindi sono quasi tutti scalzi.) Dopodiché gli diamo uno zainetto in cui trovano vestiti nuovi (ci sono 3 taglie, più per i bambini – dobbiamo capire noi più o meno le misure e in base a questo prendono il pacco). Alla fine gli diamo da mangiare, panino, frutta e acqua, magari qualche biscotto in un sacchetto. Qua finisce la sezione dove aiutiamo noi.
Si mettono in fila dove altri volontari che parlano in inglese, francese, arabo ecc. (perché bisogna poter comunicare con loro), gli chiedono come stanno perché in base a questo continuano la loro strada nelle diverse tende: al pronto soccorso, separati uomini e donne, i malati contaggiosi. Qua medici veri li curano bene e subito. Dopo questo sono i poliziotti che li interrogano (non dura tantissimo), così prendono un documento provvisorio con foto che sono qua, legalmente. Da qua partono poi gli autobus e li portano nei campi di accoglienza. Sono già in sicurezza. Almeno in una sicurezza più grande che mai prima nella loro vita. O al minimo durante il viaggio.
Probabilmente suona ridicolo ma è una buona sensazione aiutare, almeno con questo. Almeno è questo che posso fare. Fare il volontario così è fantastico. Come ho detto: è la cosa più commovente e più esaltante che abbia fatto.
Il modo migliore per capire l’altro è aiutarlo in modo disinteressato quando è in difficoltà. Complimenti alla volontaria e alla tua assicurazione. Fate un lavoro esemplare.
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secondo me il modo migliore per capire l’altro e provare a camminare nelle sue scarpe…o con in suoi piedi nel caso in cui sia privo di scarpe. Ti ringrazio di cuore per il tuo complimento che girerò anche a Lili.
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Hai ragione, è superfluo commentare le parole di Lili. Basta prendere atto della gratuità dei gesti che contano davvero, lasciare le sterili polemiche a chi questa generosità disinteressata non sa nemmeno cosa sia e ringraziare sempre con umiltà chi come Lili e come voi concede se stesso agli altri.
Grazie!
Primula
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grazie a te per parole che rendono il compito più facile.
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Köszönöm Lili az izgalmas bizonysága és hála Francesco , aki jogosult a rá tudni !!
Thanks Lili for this exciting and touching testimony and thanks to Francesco who has it typed!!
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Giro a Lili…
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🙂 🙂 (per entrambi) … ciao
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Le parole di Lili mi hanno fatto piangere… e vergognare. Anche io sto svolgendo i miei sei mesi di SVE a Cipro, in un ambito totalmente diverso. Mi diverto, rido e scherzo anche se sono geograficamente così vicina ai problemi di cui Lili parla. Mi piacerebbe fare volontariato per aiutare i migranti, se qualcuno conosce qualche opportunità mi informi per favore. E complimenti a tutti voi che ogni giorno vi impegnate per provare a rendere la vita di queste persone anche solo un pizzico migliore di quel che è.
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