“Correva” l’anno 2004 e per me e Veronica cominciava la nostra ennesima missione in Tanzania.
Avevamo trascorso un paio di giorni a Dar es Salaam per sbrigare una serie di faccende. Come sempre eravamo partiti con diverse ore di ritardo sulla tabella di marcia e sapevamo che il prezzo da pagare sarebbe stato un viaggio concitato e notturno attraverso i 600 chilometri di Tanzania che ci dividevano dal villaggio di Pomerini.
Con noi come sempre il Frate con il quale mi alternavo alla guida dell’automobile.
Usciamo dalla megalopoli africana con le difficoltà di sempre. Traffico congestionato, lavori in corso dappertutto rendono le prima ore di viaggio lente e frustranti mentre la notte africana cala su di noi.
Ci dispiace perdere lo spettacolo degli ambienti e dei panorami all’interno dei quali sappiamo (abbiamo fatto quel viaggio già tante volte) che ci muoveremo nelle ore a venire.
Ci spiace fare tutto di corsa, con l’urgenza di raggiungere un villaggio che rappresenta a tutti gli effetti la nostra “casa altra”, con l’urgenza di raggiungere persone che stiamo aspettando di riabbracciare da un anno, che da un anno ci aspettano per riabbracciarci.
Il sopraggiungere dalle tenebre ci mette almeno al sicuro dai posti di blocco della polizia locale e quindi, per quanto riguarda la velocità, non andiamo tanto per il sottile.
Tutto procede bene. Lunghe chiacchiere con il Frate per raccontarsi tutto quello che in un anno di lavoro non riesce a passare attraverso la comunicazione via email, qualche pisolino per chi, non guidando, se lo può permettere. E la strada scorre velocemente sotto le nostre ruote.
Un cartello, che ben conosciamo, ci segnala l’ingrasso del nel Mikumi National Park. A questo punto il dispiacere per non avere viaggiato di giorno si fa ancora più intenso. I 50 km che ci aspettano sarebbero stati di giorno un’occasione perfetta per vedere attorno a noi tutta la grande fauna africana che raramente ci concediamo presi come siamo dal lavoro in una zona rurale come quella dell’altopiano dove i grandi mammiferi non ci sono più.
Sono io alla guida in questo tratto. La strada corre diritta davanti a me, so bene che dopo il Mikumi cominciano le curve e quindi tento, in questo tratto rettilineo, di recuperare ancora qualche minuto aumentando ancora un poco la velocità.
Poi accade quello che avremmo dovuto prevedere e al quale nessuno di noi ha pensato: a distanza utile perché gli abbaglianti la rivelino come forma indistinta, qualche cosa di enorme sembra bloccare per intero la sede stradale.
Comincio a frenare, disperatamente, senza avere il tempo di capire cosa sta succedendo, cosa è questo enorme ingombro sulla strada.
Fra stridore di freni e puzza di pneumatici bruciati ci muoviamo sempre più lentamente verso “l’ostacolo”. Un’ultima sbandata e per fortuna ci fermiamo letteralmente a 20 centimetri da quelli che in un primo momento mi sembrano quattro pali e che poi si rivelano essere quattro zampe.
Siamo fermi, non li vedo ma immagino che i pneumatici stiano fumando. Trenta secondi di silenzio assoluto mentre avverto quella sensazione tipo “ammollamento delle reni” di quando ad una scarica di adrenalina segue il segnale dello “scampato pericolo”.
Non abbiamo nemmeno il coraggio di guardarci in faccia quando, fra le quattro zampe, appare un lungo collo ed una strana testolina sormontata da un paio di buffissimi cornetti.
La giraffa ci guarda attraverso il parabrezza per alcuni secondi, giusto il tempo per lanciare un messaggio telepatico della serie: “ma come cazzo guidate!!!!“. Dopodiché tira su nuovamente collo e testa e lenta, sinuosa e bellissima si allontana.
La seguiamo fino a che i fari della nostra macchina ce lo consentono. Poi ripartiamo a velocità almeno dimezzata. Abbiamo ricevuto un’importante lezione di “lentezza”.
Molto meno esotico, ma altrettanto spaventoso è stato il nostro incontro con un daino, in una recente sera di quest’estate, quando mio marito ed io percorrevamo una strada statale nelle vicinanze di Tirrenia. Fortunata è stata la nostra velocità bradipo-tardigrada, dovuta all’ora tarda, sommata all’assoluta sobrietà del guidatore, che ci ha consentito di ottenere il massimo dalla frenata disperata, quando, del tutto in attesa si è profilata nell’oscurità, attenuata dalla luna, la snella sagoma dell’erbivoro, che ha contribuito anche lui alla sua salvezza scartando all’indietro all’ultimo momento.
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sono comunque (quando finiscono bene) dei bellissimi incontri con il “selvaggio”
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Da quella parti ho visto anche una bellissima coppia di istrici, con gli occhi luminosissimi nella notte! 🙂
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quegli con gli istrici sono fra i miei incontri preferiti… ma anche solo trovare i loro aculei per terra durante un’escursione mi sembra ogni volta un segno bellissimo…
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La giraffa saggia! 🙂
Sto preparando un post anch’io sulla “lentezza”!
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lo aspetto con curiosità e impazienza…
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🙂
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andare al passo con le giraffe e dimenticare il passo dei tempi è un sano cambiamento di prospettiva e una buona conquista.
ml
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ma quanto difficile?!?
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Le giraffe sano quello che fanno!
Mai sottovalutarle 😉
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mai!!!
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