Stewart Brand disse che la fotografia della terra (scattata da un satellite artificiale nello spazio), che mostra il globo azzurro orbitare in spirali e vortici di nuvole, è stata una pietra miliare per la consapevolezza umana e per il successivo sviluppo di tutto il movimento a favore dell’ambiente del nostro pianeta e della sua tutela.
Una delle immagini che troneggiano a casa mia è proprio un enorme poster in cui il protagonista è appunto il nostro pianeta visto dall’alto. In tutta la sua meraviglia. In tutta la sua delicatezza. In tutta la sua incomparabile dolcezza.
Fare un grande passo indietro e riuscire a percepire il nostro pianeta nella sua interezza deve essere un’esperienza inimmaginabile che di sicuro segnò profondamente un uomo come Yuri Gagarin.
Per quanto mi riguarda, nonostante il mio desiderio “infantile” di fare anch’io un’esperienza del genere, a questo punto posso solo condividere le parole del mio “amato” John Denver (lui che sulla luna fu veramente ad un passo dall’andarci) quando dice:
“…For though my life’s been good to me there’s still so much to do.
So many things my mind has never known.
I’d like to raise a family, I’d like to sail away and dance across the mountains on the moon”.
D’altra parte non è il volo aereo che può darci una percezione del genere. Di sicuro per un problema di quota ma soprattutto (me ne rendo conto solo adesso) perché l’aereo rafforza ancora una volta il nostro essere e percepire il mondo da bipedi: uno sguardo aperto in avanti, che di per se è una cosa molto bella, se non fosse che ci ha fatto perdere la visione verso il basso del quadrupede e non ci ha mai fatto acquisire la visione verso l’alto (avremmo bisogno di un occhio sulla testa per non perderci ciò che quotidianamente il cielo sopra di noi ci dona). Da questo punto di vista (ora ci vuole!) è strano che non siano stati mai inventati degli aerei che funzionino un po’ come quelle imbarcazioni con il fondo trasparente che ci sono in alcune aree marine protette. Credo che un volo su un aeroplano così costruito potrebbe garantire un’altra esperienza significativa.
I miei tanti voli in aereo infatti non mi hanno mai dato questa percezione di “vista globale”. Magari qualche scorcio, la sensazione di una finestra che si apre su qualche cosa che fino a quel momento avevo visto in un’ottica diversa come quella volta che tornando da Trieste con un piccolo ATR42 il pilota fece di tutto per evitare le celle temporalesche che si frapponevano fra noi e la meta attuando una surreale gimkana fra le nuvole che permise, a me “osservatore esterno”, di vedere per la prima volta cosa fosse un temporale racchiuso dentro lo scrigno di una nuvola. Inutile dire che io ero felice, un po’ meno gli atri passeggeri. Ho sempre conservato la convinzione che anche il pilota si stesse divertendo almeno quanto me.
Oppure quella volta che andando in Tanzania con la Swiss (attenzione non con l’Ethyoipian Airlines ma con la Swiss) il pilota si concesse e ci concesse il lusso di un giro attorno al cratere innevato del Kilimanjaro.
Poi ieri, grazie a Veronica, ho scoperto una maniera nuova di volare. Ho fatto il mio primo volo in tandem con un parapendio. Il volo è avvenuto sopra un tratto della mia terra che conosco molto bene e che amo particolarmente: la riserva naturale di Monte Cofano.
Dieci minuti a piedi per raggiungere il costone roccioso dal quale decolleremo. Una giornata azzurra e trasparente sotto e sopra di noi. Battute dei piccoli che variano dal “Papà forse oggi non morirai” del grande a “Papà mi porti qualche batuffolo di nuvola?” del piccolo.
E poi: un passo avanti, qualche passo indietro, 5 passi di corsa e sono nel vuoto, e sono nel vento.
Credo che durante tutto il volo, durato una ventina di minuti, ho ripetuto un’unica parola (qualunque fosse la domanda che il mio “nocchiero” mi ponesse): meraviglioso.
Dentro di me d’altra parte l’avere ricevuto il dono di potere accendere per la prima volta nella mia vita (nonostante io non sia nuovo agli sport così detti estremi fino a questo momento mi sono limitato a quelli che prevedono che nella relazione con il vuoto tu sia attaccato quanto meno ad una corda) uno sguardo da rapace sul mondo mi ha prodotto soprattutto pensieri retroattivi. Una specie di “…a quindi è così…da sotto non lo avevo capito…“.
E quindi: “guarda…le gole di Monte Palatimone…quante volte le ho fatte attaccato ad una corda…ah quindi oltre quel cancello all’inizio delle gole c’era una specie di fattoria…ah ecco quel maledetto sentiero in uscita sul boschetto ripariale che non riuscivamo mai a trovare…ah ecco cosa intendevano quando mi dicevano che la torre della tonnara ha una pianta a stella…ah ecco come è il fondale del golfo visto dall’alto…come sono quelle fessure nella rocca che ho sempre visto da così lontano…come è passare dentro una nuvola…come è volare accanto ad un Gheppio (che non a caso è il mio “Animale Medicina”)“.
E poi: “come va? Possiamo tornare?“
“Si, grazie…è stato meraviglioso“.
Perché resteresti ancora.
Perché si potrebbe andare ancora oltre e attraversare la piana e approfittare di una termica che ti spari su fino al Passo del Lupo e vedere dall’alto Lo Zingaro, riconoscendo i rifugi, e la grotta del Sughero ed ogni singola caletta. E poi oltre ancora.
Si potrebbe prendere una canoa scavata in un tronco di mango ed andare giù per il lago Malawi, e fare il bagno fra i pesci di mille colori e accompagnarsi con le scimmie urlatrici e con le aquile che le cacciano.
Si potrebbe riprendere il cammino verso i monti azzurri con due pesche in tasca, come tanti anni fa, a reimparare il suono che fa il crotalo fra i sassi e a farsi riconoscere dallo sguardo tagliente dell’aquila di Bald nel cielo “alta levata”.
Se non fosse per i “carichi pendenti“. Se non fosse che il nostro cuore grande ci permette di accogliere dentro anche tutta la meraviglia del nostro pianeta racchiusa in un’unica occhiata ma più di tutti trova senso nella gioia della relazione, nella relazione smette di essere uno e diventa “umanità”, “famiglia”, “sodalizio”, “amicizia”, “amore”.
E allora non so che cosa da qui a qualche hanno conserverò ancora nella mia memoria di questa esperienza.
Di sicuro non si cancelleranno mai i secondi che hanno preceduto l’atterraggio. Il mio cercare spasmodico le loro teste. Tre mani che si alzano quasi all’unisono per salutarmi. Il cuore che quasi mi scoppia nel sentire che alla grande bellezza del mio pianeta corrisponde, quasi uno ad uno, la bellezza “domestica” della mia famiglia, i capelli bruciati dal sole del mio ragazzo, la mano a forma di stella del mio piccolo che mi saluta, gli occhi grandi di Veronica, così grandi da poterli scorgere anche da tanto in alto.
Mi sono commossa… vabbè in questo periodo ho la lacrima facile. Comunque un bellissimo post. E il parapendio… prima o poi…
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devi farlo…per una che si avvia a conoscere gli uccelli quello dovrebbe essere il primo passo…no?
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Bello leggerti. Bello leggere di volo, altezze, batticuore.
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sei molto gentile…e per me, grazie ai tuoi complimenti, è ancora più bello scrivere di tutte queste cose.
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wow che esperienza, un po’ ti invidio,ma non so se avrei il coraggio 😉
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io credo che bisognerebbe avere sempre il coraggio di fare tutte qulle cose meravigliose che statisticamente provocano poche vittime ogni anno….
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🙂 ecco appunto…poche ma ci sono !
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molti di più fra coloro che viaggiano in automobile o attraversano la strada a piedi…e queste attività sono molto meno entusiasmanti del parapendio.
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questo è vero,non fa una piega 🙂
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non era per convicerti…è che ne vale veramente la pena…
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immagino l’adrenalina di visualizzare tutto da un’altra prospettiva con la sensazione che ti siano spuntate le ali…
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devo dire che per come sono fatto io adrenalina quasi per niente…invece fortissima la sensazione di avere le ali…
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Beh, allora Francesco per le tue ali e la tua festa questa è azzeccata o no?
😉
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dirai proprio di si…
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Fantastica esperienza e fantastico racconto che poi, in fondo, racchiude una grande verità…spesso abbiamo bisogno di guardarci intorno da un’altra prospettiva e con altri occhi per poter guardarci dentro, nel cuore…No?
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cambiare il punto di vista fa sempre bene…il salire sulla sedia del prof. Keating de L”Attimo Fuggente.
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Sì! Che meraviglia! ❤️
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un film bellissimo effettivamente.
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