Esco da casa per il quotidiano pasto mattutino de “l’Arca”. Nuvole gloriose riempiono il cielo di un alba quasi settembrina. L’intero catalogo si sciorina davanti ai miei occhi: cumuli, nembi, strati, in tutte le loro forme, in ogni possibile meteorologica ibridazione. E’ un sintomo autunnale, me lo dicono cuore e naso.
Sollecito Zaccheo affinché si scolli dal quarto d’ora di cartoni di inizio giornata che il fratello piccolo ci impone: mentre ero fuori ho sentito delle microscopiche gocce sul volto, non voglio perdermele per nessuna ragione al mondo.
In aria vibra ancora l’estate e il nostro abbigliamento corrisponde a quella vibrazione. Inforchiamo la moto con addosso un presidio di giacche a vento dell’ultimo secondo imposto da una mamma vagamente meteoropatica.
Già prima di entrare in autostrada le gocce battono forte sul parabrezza della moto. Quanto mi dispiace a volte avere una moto con il parabrezza (che già di suo ha un nome che mi fa antipatia). “Zac tutto bene?“, risponde: “le gocce sbattono forte sulle mie gambe e mi fanno male (N.d.R: il topastro indossa pantaloncini corti)“. “Ma ti piace Zac?“. “Si” risponde la mia anima gemella.
Poi d’un tratto completiamo la rotonda e siamo in autostrada. Il mare, immoto e livido sulla sinistra, corrisponde in maniera speculare ad un cielo livido ed immoto sulla destra. Noi “in moto” al centro (questo stupido gioco di parole non ho potuto proprio evitarlo) entriamo diritti in una nuvola quasi compatta, quasi tangibile, di geosmina.
E’ difficile credere che la divinità, l’universo, il caso o chi per loro abbia creato, prodotto, generato, emanato, secreto, un pianeta così bello; ma mi risulta veramente inconcepibile e mi fa sentire ricolmo di gratitudine il fatto che qualche divinità o angelo minore abbia voluto donarci, oltre a tutta la meraviglia già prodotta dal suo “capo”, anche un dettaglio delizioso come la geosmina.
In un pianeta che si chiama Terra, ma che è ricoperto per 2/3 da Acqua, quotidianamente e in miliardi di momenti e di luoghi (alcuni grandi come le coste di un continente altri microscopici come l’interfaccia fra due molecole) si celebra l’incontro fra acqua e terra, si celebra una storia d’amore che su questo pianeta dura da miliardi di anni.
Questo incontro ha il suo profumo e a questo profumo abbiamo dato un nome (potevamo sforzarci un po’ di più…ma in fondo assomiglia a “gelsomino” e per questo non mi dispiace troppo) che è appunto geosmina.
Ogni volta che l’acqua tocca la terra si diffonde nell’aria questo profumo. Come per i santi della tradizione cattolica per i quali si dice che nel momento in cui si ricongiungono a Dio cominciano ad emanare un profumo “divino” (l’odor di santità), così non appena la terra consuma le sue nozze alchemiche con l’acqua, attraverso esse, si genera una sostanza nuova, un profumo intenso ed evocativo. La morte di batteri ed alghe, nel loro ricongiungersi a ben due dei cicli fondamentali del nostro pianeta che in quel punto si incontrano, genera profumo.
E se è vero che questo universo ci parla attraverso tutte le “finestre della percezione” delle quali ci ha dotato, è ancora più vero che fra tutte predilige far passare la sua poesia attraverso le nostre narici. E questa poesia pretende che la sentiamo bene, vuole che la percepiamo con chiarezza, desidera penetrare fino in fondo ai nostri cuori, desidera commuoverci.
Così siamo stati dotati di un naso che è estremamente sensibile alla geosmina. Basta che nell’aria ce ne siano 5 parti per trilione e allora il nostro naso è capace di percepirla, i nostri recettori olfattivi si attivano e trasferiscono al cervello l’informazione: “le nozze sono state consumate, l’incontro ancora una volta è avvenuto, gioisci dunque!!! La pioggia è scesa ancora una volta dal cielo per incontrare la terra, il miracolo, quello vero, ancora una volta è avvenuto!“.
Un attimo fa le gocce coprivano ancora completamente il parabrezza e adesso un sole radioso emerge fra le rocce di Monte Pellegrino. Ancora poche centinaia di metri immersi in quel calore vivo, in un vento rinforzato dalla velocità della moto. Le gocce vengono strappate dalla superficie trasparente, rapidamente estratte dai nostri abiti e caricate di energia potenziale risalgono per ridare vita al ciclo.
Arriviamo in ufficio che anche il profumo è sparito inghiottito dal caldo e dalla volgarità della città.
Ci incamminiamo senza quasi il coraggio di guardarci in faccia: “ti è piaciuto Zac?“, “si Papà…è stato bello“.
poetico!
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Detto da te (nella tua doppia veste di agronoma e scrittrice di grande finezza e sensibilità) lo considero veramente un grande complimento. Grazie.
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la poesia mescolata alla divulgazione scientifica: un nuovo genere letterario!
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In realtà c’è qualche esperienza in questo senso nei paesi anglosassoni…hai ragione però, qui da noi è una cosa nuova e tu hai proprio centrato quello che è il mio obiettivo: fare in modo che le persone si innamorino del nostro pianeta. Adesso resta solo di dare un nome a questo genere…suggerimenti?
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ci penso!
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ci conto!
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Se ci fermassimo a riflettere sulla bellezza che la natura profonde con generosità, non avremmo più bisogno di tanto per vivere sereni.
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lo penso anch’io…e mi chiedo: perché non provarci allora?
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Pigrizia credo, sfiducia nelle proprie capacità, cronica mancanza di tempo, assenza di curiosità. Amare la terra, assecondare i suoi ritmi, provare a coltivare il proprio cibo sono tutti atti che richiedono tempo e fatica. Bisogna saper aspettare senza avere fretta, ma abbiamo disimparato la disciplina della pazienza.
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anche quella, se ci avviciniamo con modestia ed apertura, ce la insegna la Terra.
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Sì è vero e oltre a creare dipendenza dà risultati impagabili 🙂
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direi proprio di si.
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Interessante e poetico 😉
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grazie…due aggettivi che mi onorano…
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L’ha ribloggato su adoraincertabloge ha commentato:
Stamattina ancora questa misteriosa pioggia d’agosto che mi ha fatto pensare ad un post scritto quasi due anni fa. Eccolo.
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