Perché fino ad adesso non ho parlato di questo libro? Me lo chiedeva poco fa in mio “ragazzo” mentre lo sfogliavo.

Forse perché è fra tutti i libri che ho letto nella mia vita il più caro (assieme al suo fratello “oscuro” e che devo entrambi alla mia amica Giulia così come moltissimi altri libri che nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare). Forse perché tutto quello che c’era da dire è stato detto dentro il libro e nulla va aggiunto per non rovinarne l’equilibrio perfetto.

Eppure un mio post dell’altro giorno, e un commento da esso suscitato, mi hanno fatto tornare in mente da dove nasce la mia passione per l’enumerazione quasi maniacale dei “fatti della vita”, e come in molti altri casi mi sono reso conto che nasce da questo libro.

Il titolo del libro è “L’estate incantata” (che è un titolo bellissimo ma che nulla può rispetto al titolo originale che è “Dandelion wine“), l’autore è Ray Bradbury, il suo fratello oscuro è invece “Il Popolo dell’autunno“.

Posso solo dire, a chiunque si imbattesse in questo post, che entrambi i libri vanno assolutamente letti se vogliamo recuperare ancora per un attimo la meraviglia di essere bambini per noi stessi e per i bambini (quelli che lo sono ancora anche anagraficamente) che in qualche modo sono collegati a noi.

Di seguito riporto il pezzo in cui Tom, nel primo capitolo del libro (quello in cui Douglas, protagonista e fratello di Tom, scopre il segreto più prezioso fra tutti i segreti durante la sua estate incantata del 1928) e durante una passeggiata nei boschi, enumera al fratello e al padre tutte le cose importanti fatte nei suoi primi 10 anni di vita. 

Tratto da “L’estate incantata”

Tom masticò e annuì. “So quello che vuoi dire, papà.”. Non è successo per un pelo, pensò Douglas. Qualunque cosa fosse, era Grande, buon Dio, Grande! Poi qualcosa l’aveva spaventata. E adesso, dov’era? Fra i cespugli come prima. No, dietro di me! No qui…praticamente qui…si massaggia nascostamente lo stomaco.

Se aspetto tornerà. Non mi farà del male: non so come, ma sento che non è qui per fare del male a me. Che cosa vuole allora? Che cosa, che cosa?

“Sai quante partite di baseball abbiamo fatto quest’anno, e l’anno scorso, e quello prima ancora?” fece Tom, tirando fuori l’argomento dal nulla.

Douglas guardò le labbra di suo fratello che si muovevano rapidamente.

“Scrivitelo! Millecinquecentosessantotto partite! E sai quante volte mi sono lavato i denti in dieci anni? Seimila! Lavato le mani: quindici mila! Dormito: quattordicimila volte e rotti, senza contare i pisolini. Ho mangiato seicento pesche e ottocento mele. Duecento pere. Non mi piacciono troppo, le pere. Nomina qualunque cosa, ho le statistiche! Le cose che ho fatto in dieci anni sono almeno un milione di miliardi!”.

Adesso, Douglas pensò, la “cosa” si sta avvicinando di nuovo. Perché? Perché Tom si è messo a parlare? Ma perché proprio Tom? Suo fratello continuava a borbottare fra sé, la bocca piena di panino, e papà, sul tronco, all’erta come un leone di montagna. Tom snocciolava le parole come bollicine di soda:

“lebri che ho letto: quattrocento. Matinée che ho visto al cinema: quaranta con Buck Jones, trenta con Jack Hoxy, quaranta cinque con Tom Mix, trentanove con Hoot Gibson, centonovantadue episodi completi di Felix il gatto, dieci Douglas Fairbanks; Lon Chaney nel Fantasma dell’Opera l’ho visto otto volte, e poi quattro Milton Sill e una schifezza d’amore con Adophe Mnjou che mi ha fatto passare non so quante ore nella toilette del cinema, aspettando che quella porcheria finisse e cominciassero Il Castello degli Spettri oppure Il Vampiro. Quelli si che sono film! Tutti si tengono aggrappati a tutti e gridano per due ore senza mollare. Nel tempo che ho passato a vedere i film calcolo di essermi succhiato quattrocento lecca-lecca, di essermi mangiati trecento Tootsie Rolls e settecento gelati…”.

Tom continuò nel suo tranquillo elenco per altri cinque minuti e poi papà disse: “quante more hai raccolto nell’ultima ora, Tom?”.

“Duecentocinquantasei, una più, una meno” rispose Tom all’istante.

Papà rise e la colazione finì. 

Un pensiero su “Enumerare

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