Mi considero un attento e appassionato osservatore dell’essere umano. Nel tempo poi ho anche sviluppato una certa benevolenza nei confronti dei miei simili, la stessa che spero gli altri vorranno riservare ai miei difetti e alle mie debolezze.
Sono davvero pochi i comportamenti, gli atteggiamenti, le abitudini che sviluppano in me un’attenzione pedante ed insofferente tipica di molti anziani. Per lo più questi comportamenti appartengono alla grande tipologia che afferisce all’ambito della “vita nel traffico”.
In questo senso la mia isola e la mia città (e questo Benigni in “Johnny Stecchino” lo aveva capito benissimo) mi forniscono continui stimoli anche in considerazione della quantità di tempo che ci costringono a consumare immersi nel traffico.
D’altra parte io, nel tentativo di sottrarmi a questa iattura, per gran parte della mia vita ho preferito appartenere alla categoria del “motociclista esclusivo”, il che ha contribuito a fornirmi un punto di osservazione esterno almeno rispetto alla categoria antagonista degli automobilisti.
Sono tanti i fenomeni antropologici sui quali la mi attenzione si è soffermata in tanti anni di vita nel traffico e tutti hanno contribuito a rinforzare in me l’idea che se veramente si vuole provare a capire il siciliano (o ancora meglio il palermitano che nell’anomalia siciliana costituisce una variabile impazzita) in tutti i suoi vizi e i suoi irredimibili difetti, bisogna osservarlo calato in quello che è oramai diventato il suo ambiente naturale: il traffico di una delle nostre città.
In questo senso lo studio antropologico tradizionale mi porta inevitabilmente a definire tutta una serie di categorie che per lo più sono categorie nocive.
Una, per esempio, che di questi tempi va per la maggiore è quella, da me definita, dei “Writers” (la mia anglofilia parziale è oramai a molti nota), categoria che al proprio interno raccoglie tutti coloro che, in un angolo del mondo che soffre di un fortissimo analfabetismo di ritorno, passano in controtendenza tutto il tempo che trascorrono in auto impegnati nella digitazione di qualche cosa sul loro cellulare. Fra questi spiccano quelli che lo fanno guidando enormi camion, quelli che lo fanno guidando un mezzo pubblico, quelli che lo fanno sfrecciando a 150 orari in autostrada (di questi ultimi, nonostante la grande velocità, suggerisco di osservare con attenzione il sorriso ebete che pervade il loro viso).
Oppure la categoria di coloro che buttano fuori dal finestrino qualunque cosa gli risulti d’impaccio e per questa ragione da me simpaticamente ribattezzati, con “sottile ironia” tutta sicula, “I Buttani” (o “Le Buttane” nel caso si tratti di esseri di sesso femminile). Lo so che utilizzando il verbo gettare avrei potuto chiamarli “i Gettoni” ma la prima opzione mi piaceva di più. All’interno di questa categoria vi è un sottotipo composto da coloro che dal finestrino “buttano” mozziconi di sigaretta ancora accesi: per questi la mia intolleranza auspicherebbe azioni di giustizia anche sommaria ed autoamministrata.
Ma la categoria della quale vorrei parlare oggi è una di quelle che non produce alcun effetto negativo se non a se stessa, se si esclude l’ingiustificata irritazione prodotta in me.
Come mi accade spesso infatti, davanti a fenomeni incomprensibili e insondabili nella loro apparente illogicità io reagisco opponendo un rifiuto caparbio e immotivato che mi porta ad essere caustico nei confronti de “i fenomeni” in questione (e di questo spero che mi perdoneranno coloro che appartenendo a questa categoria malauguratamente leggeranno questo post).
E’ questo il caso della terza categoria, quella da me battezzata “A.R.M.” che come tutti sanno in inglese vuol dire “Braccio” e per la quale ho coniato un acronimo (adoro gli acronimi!) apposito: “A Rischio Mutilazione”.
E’ per intenderci la categoria formata da coloro che sporgono un braccio fuori dal finestrino.
Per me questa categoria costituisce prima di tutto un mistero antropologico e in secondo luogo un mistero anatomico e fisiologico.
Un mistero antropologico perché mi sfugge completamente la ragione per la quale una parte molto netta e consistente dell’umanità indulga in questa abitudine e un’altra, altrettanto netta, non riesca nemmeno a capirne le ragioni (in questo duplicando perfettamente l’eterna dicotomia planetaria fra coloro che amano la trippa e quelli che non ne possono nemmeno sentire l’odore).
Un mistero anatomico e fisiologico perché invito chiunque non pratichi questa disciplina a tenere per qualche secondo il braccio fuori dal finestrino. In pochi secondi il braccio comincia a formicolare, le dita si gonfiano e da li a poco può anche verificarsi un principio di cancrena. Per tacere poi degli effetti prodotti sul braccio dalle auto di nuova generazione i cui finestrini non rientrano completamente all’interno dello sportello producendo quel simpatico effetto tipo “ghigliottina al contrario”. Infine una dato di genere: l’A.R.M. è soprattutto maschio (che già secondo me la dice lunga sul tipo).
Ogni volta che vedo un A.R.M., e succede spessissimo, mi chiedo veramente: “perché?” senza riuscire a darmi una risposta. Né interrogare i diretti interessati ha prodotto alcun risultato, visto che se ne escono generalmente con una risposta evasiva sul genere: “ma è una posizione comodissima!“.
Devo dire però che, per quanta irritazione mi produca, la categoria (come spesso avviene con ciò che produce in noi una certa repulsione) al tempo stesso mi attrae.
Mi sono perfino spinto a definire al suo interno una serie di sottocategorie che di seguito sinteticamente riporto:
- L’ A.R.M. pendolo: è quello il cui avambraccio è disposto a 90° rispetto al resto del braccio e diretto verso il basso. Normalmente alla posizione si accompagna appunto un movimento oscillatorio del tipo “a pendolo”;
- L’A.R.M. suicida: è invece quello che tiene il braccio diritto fuori dall’abitacolo determinando così un aumento dell’ingombro dell’automezzo di circa 50 centimetri. Non sono riuscito a trovare dati statistici attendibili ma così a naso direi che della categoria è quello che maggiormente deve ricorrere a cure mediche e che in qualche modo ha dato il nome alla categoria stessa;
- L’A.R.M. insicuro: è quello il cui avambraccio è disposto a 90° e diretto verso l’alto. E siccome in questo modo la mano finisce per toccare la parte alta del finestrino si ha sempre la sensazione che più che una maniera per appoggiarsi sia piuttosto un modo per ancorarsi in caso di incidenti;
- l’A.R.M. acrobatico: è quello che ponendo l’avambraccio quasi parallelamente allo sportello, muove in continuazione la mano lasciandosi guidare dai capricci del vento prodotto dalla macchina che procede velocemente. E’ questa la sottocategoria alla quale devo ammettere va da parte mia una certa simpatia anche perché si compone quasi esclusivamente di A.R.M. bambini;
- L’A.R.M. indeciso: è quello che tira fuori il braccio, dopo poco lo rientra, poi lo mette ancora fuori, lo stende, lo ripiega, lo rientra, sporge solo la mano, e così via di seguito;
- L’A.R.M. fumatore: potrebbe essere una sotto sotto categoria dell’A.R.M. pendolo e molto probabilmente appartiene anche a quella in precedenza descritta de “I Buttani”. All’habitus tipico del “pendolo” si aggiunge la “detenzione” di una sigaretta fra indice e medio. Altra adorabile caratteristica di questa tipologia è che fumo e cenere vanno tutti a te che lo osservi nella macchina dietro;
- L’A.R.M. comunicatore: anche lui probabilmente sotto sotto categoria del “pendolo” mantiene l’habitus di quest’ultimo fino a quando non ritiene di avere qualche cosa da comunicare, allora invertendo la posizione dell’avambraccio di volta in volta si produce in un dito medio alzato, l’inconfondibile gesto delle corna, un saluto a qualche amico di passaggio oppure, dopo brusca frenata, in una stretta di mano ad automobilista appartenente alla medesima tipologia e che procede in senso inverso, seguita da lunga conversazione alla faccia di chi è fermo dietro in attesa che lui smetta di comunicare (e questo dalle mie parti va fortissimo).
Insomma con questo post ho voluto condividere uno dei miei studi antropologici per me più stimolanti e al tempo stesso bisognoso di ulteriori approfondimenti, nella speranza che qualcuno fra i lettori voglia dare un proprio contributo magari nell’individuazione di una nuova categoria o nella spiegazione di una qualche ragione per la quale un simile comportamento continui a perpetuarsi quotidianamente sulle nostre strade.
questo accurato studio antropologico del guidatore siculo sarebbe ottimo come monografia psicologica sulle turbe mentali degli esseri umani in epoca moderna 😞. Per quel che mi riguarda tutti gli individui appartenenti alla categoria A.R.M., ai quali aggiungerei quelli che su vespa e motorini camminano con la gamba fuori sfiorando quasi l’asfalto, sono semplicemente degli imbecilli, con le dovute eccezioni si intende (?) 😉
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Brava Giuliana!!! Ero sicuro che da una conterranea sarebbe venuta fuori un’altra sub categoria che avevo dimenticato di elencare nel mio studio. E d’altra parte se non siamo noi palermitani esperti in questo tipo di studi…
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beh, non e’ che sia un vanto. 😳
Comunque sono nativa del trapanese da genitore dell’agrigentino ed ho vissuto meta’ della mia vita a Catania e l’altra meta’ a Palermo. Il mio primo vero e grande amore e’ Catania 😍
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e questa è la seconda ragione, dopo quella del cimino, per la quale dovrei “scancellarti” dai miei contatti…
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sei mai stato a Catania?
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certo che si…ma in incognito….
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eri tu quello con barba nera e capelli rasta?
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porco cane…e io che credevo di essere irriconoscibile!
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Ti ha tradito il percing all’ombelico
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glielo avevo detto a quello che me lo ha fatto che non ci volevo appesa l’aquila rosa nero in oro smaltato e con gli occhi di smeraldo…ma quello ha insistito…
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beh, una cosuccia sobria cosi’ …
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si, si…io sono uno che alla sobrietà ci tiene come testimonia anche l’ultima tintura viola che ho fatto ai capelli.
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ma sei un birbacchione! ci pensera’ tua moglie a coprire la ricrescita dei capelli bianchi?
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si, di queste cose se ne occupa lei.
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Giuliana, ti quoto immediatamente!
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Divertente e acuta dissertazione tra l’umristico e il sociologico…comunque credo che una spiegazione risieda nel sentirsi parte del mezzo, unsaorta di estensione mobile estraibile e retrattile…forse dovremmo riscoprire per intero il nostro corpo , come mezzo di locomozione. ciao picciotto.
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da quello che dici mi vengono subito in testa simbolismi fallici…il che spiegherebbe anche perchè a mettere fuori il braccio siano soprattutto i maschi…
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ah ah ah…il braccio fallo segnale di richiamo! ah ah ah
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guarda che mi hai dato un nuovo elemento con il quale arricchire la mia teoria!!!
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mi sa mi sa che presto pretenderò delle royalty… 😀
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Io appartengo raramente ora ma da bambina praticamente ogni volta che se ne presentava occasione al (mi sembra) settimo sottotipo. Era legato a un gioco di fantasia.. Chiedo pietà👼
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la riceverai solo se ci racconterai di questa fantasia!!!
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Una scioccheria..
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ma adesso la voglio sapere…
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Hai presente Fùcur il drago de La Storia Infinita? 😉
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certo…il FortinaDrago…aspetta…fammi provare ad indovinare: muovevi la mano e il braccio nella stessa maniera in cui lui volava?
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Non posso aiutarti ad approfondire il tuo studio, già di per sè dotto e corposo, ma mi ha divertito tanto leggerlo!
Devo fare outing….a volte, ma solo se faccio il passeggero, mi piace fare danzare le dita nel vento 😊
Una volta ho visto un ragazzo in vespa con un water tra le ginocchia! 😂
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ma da passeggero non vale…anche a me piace fare quello che fai tu…
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allora non sono pessima come pensavo!
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per questa volta te la sei cavata….
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Le mani nel vento sono una sensazione piacevolissima ma da passeggero, lo faccio anche io
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direi quindi che abbiamo già definito un’eccezione positiva…
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gia’, in ogni cosa c’e’ del positivo
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è proprio quello che penso sempre anch’io…
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